“Ho bisogno di avere un contatto con l’amico nostro… Ho capito che posso venire solo da lei.”
A parlare è un tizio che conosce Michele Gucciardi, uno degli undici arrestati nell’ultima operazione Ermes che ha smantellato la squadra dei postini di Matteo Messina Denaro.
Gucciardi lo fa attendere, perché prima di ritirare la sua lettera deve sapere se può farlo. E per saperlo, chiede direttamente al destinatario: l’imprendibile primula rossa di Castelvetrano.
Lo racconta lo stesso Gucciardi allo “zì Vito Coffa”.
Vito Coffa è un altro degli 11 arrestati. Si tratta dell’anziano mafioso di Mazara del Vallo (Vito Gondola), più volte condannato in via definitiva, in stretti legami con Totò Riina e con i vertici corleonesi.
Gliel’ho fatto sapere – gli racconta Gucciardi – gli ho detto: c’è questo… così… così… Lui mi ha detto: questo è un ragazzo serio, te la puoi prendere. Io me la sono presa e gliel’ho mandata”.
Il Gucciardi avrebbe quindi parlato in modo diretto con Matteo Messina Denaro, prima di dar seguito alla richiesta del “mittente”.
Dal lavoro degli inquirenti emerge come il superboss si sia sempre servito di persone fidate, in grado di fare da “filtro nella relazione delle missive che dovevano essergli inoltrate”. Questo per evitare di incontrare i mafiosi in modo diretto.
E forse sta proprio qui il punto. E’ come se ci fossero due sistemi di fedelissimi. L’uno che lo mette al riparo dalle complicazioni che possono sorgere con l’interlocuzione diretta con coloro che gestiscono varie porzioni di territorio. E l’altro, molto più occulto e potente, che non permette agli investigatori di catturarlo. Un sistema, con ogni probabilità, fatto di quelle coperture di alto livello delle quali ha parlato recentemente Teresa Principato, il procuratore aggiunto che insieme ai sostituti Paolo Guido e Carlo Marzella, guida la caccia a Messina Denaro.
Coperture che qualche anno fa, Antonio Ingroia aveva definito “istituzionali”.
Solo così si spiegherebbe perché i postini continuano ad essere arrestati, ma non si riesce ad arrivare mai al destinatario.
Solo così si spiegherebbe come mai la sorella Patrizia abbia potuto fare da ambasciatrice del boss per l’ambiente carcerario, quando il marito le chiese di accertare presso il fratello Matteo, se le dichiarazioni di Grigoli (l’ex re dei supermercati, oggi condannato per mafia) fossero state da lui autorizzate.
Giuseppe Grigoli aveva detto di essere stato vittima del sistema estorsivo di Matteo Messina Denaro, attraverso il fratello Salvatore e i cognati Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro. Una posizione che aveva creato un tale scompiglio, che in carcere erano già pronti a picchiarlo pesantemente per punirlo.
La risposta di Patrizia Messina Denaro al marito Vincenzo Panicola che si trovava in carcere, era arrivata in fretta. E in un tempo inferiore a quello che di solito occorre per i pizzini: “Che nessuno lo tocchi! Lasciatelo stare…”.
Ma le intercettazioni lasciano intuire molto di più.
Patrizia: Perciò, se qualcuno ti chiede, gli dici: “lasciatelo stare”. Ha detto … inc. digli ad Enzo che si mette con lui, … gli faccio: “non esagerare”
Vincenzo: Di metterlo?
Patrizia: Con te … (ride)
Vincenzo: Non ci mettono insieme!
Patrizia: Gli ho detto: “Senti qua, con tutta la buona volontà, … non esagerare” (ride)…
Dal dialogo si capisce perfettamente come Patrizia Messina Denaro abbia avuto la possibilità di parlare direttamente col fratello latitante. Uno scambio del genere è davvero improbabile che si possa essere svolto coi pizzini, né tantomeno con Skype (metodo intercettabile così come gli sms tra cellulari).
E, se si sono incontrati, perché non è stato possibile arrestarlo? Qualcuno l’ha impedito?
Chi? Forse le stesse coperture istituzionali che qualche anno fa sono state d’ostacolo alla sua cattura da parte del maresciallo Saverio masi, oggi caposcorta di Nino Di Matteo?
Una cosa è certa: da anni, con le nuove tecnologie, nessuno riuscirebbe a sparire e contemporaneamente gestire un territorio.
C’è da chiedersi allora se le risposte si possano trovare ancora nei pizzini nascosti sotto i massi, oppure se bisognava cercarle nel covo di Riina, prima che venisse perquisito dai boss qualche giorno dopo il suo arresto.
Ma c’è da chiedersi anche quanti politici Matteo Messina Denaro abbia fatto eleggere, quanti appalti abbia pilotato, di quanti piani regolatori si sia interessato e soprattutto su quanti trasferimenti Europei abbia messo le mani. Questo perché ormai non si può immaginare un potere criminale fatto solo di droga e armi.
Sembra che ci sia un sistema di vastissime proporzioni, in cui Stato e mafia si mischiano e si confondono, per un equilibrio in grado di garantire ciò che lo Stato da solo non riuscirebbe a garantire.
Egidio Morici