Vito Gondola, il boss arrestato nell’operazione antimafia Hermes, è un pastore molto noto nel mondo di Cosa nostra, e non è un caso che sia considerato dagli inquirenti uno degli uomini più fidati di Matteo Messina Denaro, tant’è che aveva il compito di smistare la sua corrispondenza tramite i famosi pizzini, che Gondola chiamava in codice (citando involontariamente Peppino Impastato e la mafia come montagna di merda….) gli “spargiconcime”. «Ci sono le cesoie da molare»; «bisogna tosare le pecore»; «il formaggio è pronto da ritirare»; «ho attaccato lo spargi concime»; «ti ho messo la ricotta da parte, passi più tardi?»; «Ho la sudda (l’erba che si dà alle pecore) pronta». Erano queste le frasi tipiche in codice quando ci si riferiva al fermo posta di Matteo Messina Denaro.
Rude, primitivo, Vito Gondola, detto Coffa, 77 anni, non è un criminale qualsiasi. Era accanto a Totò Riina, il Capo dei capi, quando fu deciso, insieme al clan Messina Denaro l’eliminazione della famiglia mafiosa di Marsala, colpevole di trattare con gli “stiddari” e con le famiglie perdenti di Cosa nostra, che Riina aveva scalzato con una specie di pulizia etnica che aveva fatto 500 morti in tutta la Sicilia Occidentale. Vito Gondola era il reggente della famiglia mafiosa di Mazara, per certi periodi insieme a Salvatore Tamburello anche il reggente del mandamento, che, nella geografia politica di Cosa nostra comprende anche Marsala.
L’eliminazione dei marsalesi fu decisa in una famosa cena, alla vigilia di Natale del 1991 (e anche alla vigilia del terribile 1992 delle stragi di Capaci e Via D’Amelio) a Mazara del Vallo, in una villetta a Tonnarella. Cena a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon (marca di champagne che predilige anche Matteo Messina Denaro). Durante la solenne “mangiata”, come da rituale, Riina – terminato il lauto pasto – diede ordine di sterminare i vertici della famiglia mafiosa di Marsala alla presenza, oltre che di Gondola, di tutti i capi mafia autori delle stragi e degli omicidi più importanti avvenuti della provincia di Trapani: il giovane Matteo Messina Denaro, Mariano Agate, Andrea Mangiaracina, Vincenzo Sinacori, “Mastro Cicco” Messina. Tranne Matteo Messina Denaro, quei criminali della mafia che fu oggi sono o morti o sepolti dal carcere duro e da svariati ergastoli. L’unico che era riuscito a schivare la galera (nel senso che si era fatto la sua pena, senza parlare mai, e senza essere coinvolto in fatti di sangue eclatanti) fino ad adesso era Vito Gondola Eppure, per capire la sua caratura criminale, basta ricordare che in quella famosa mangiata Gonfola ebbe l’onore di sedere a tavola proprio alla destra di Riina il che nei rituali mafiosi assumeva un significato emblematico del credito, del prestigio e dell’autorevolezza che il Gondola godeva presso il feroce capo corleonese.
Altro mafioso di rango finito dentro l’operazione Hermes è l’anziano uomo d’onore, Pietro Giambalvo. Non partecipava alle riunioni importanti, ma anche lui ha avuto un ruolo prestigioso: era l’autista di Riina quando si muoveva tra Mazara del Vallo e Castelvetrano. «Assai comprensibile quindi– si legge nella richiesta di misura cautelare delle Procura – che Vito “Coffa” e Pietro Giambalvo abbiano costituito e costituiscano ancora un importante ed affidabilissimo punto di riferimento del latitante (di cui è notorio il legame con Totò Rinna e con la parte corleonese di Cosa nostra), cui consegnare il compito di cerniera comunicativa con il territorio e il compito di selezionare i sodali da incaricare per la essenziale trasmissione della corrispondenza».