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23/08/2015 06:20:00

"La Sicilia avvelenata". L'inchiesta de L'Espresso su rifiuti e scandali

 Occhio all'uscita dell'autostrada  Catania-Siracusa. Se prendete la tangenziale per la zona industriale di Priolo e Augusta, trovate due fichi fermi in curva sulla corsia di sorpasso: due alberelli rigogliosi di “Ficus carica” cresciuti tra il guardrail e l’asfalto, le foglie lucide, i frutti maturi, appaiono all’improvviso davanti al paraurti. E non sono soli. Le auto sfrecciano in mezzo a un pubblico di ginestre e oleandri fioriti che invadono il passaggio. La superstrada è senza lampioni e, se non si è accorti, di notte l’incidente è garantito.
Facendo attenzione a non sbattere contro i fichi, continuiamo il viaggio verso il tramonto. A Gela un esercito di agricoltori criminali ha spianato le dune nella riserva naturale del Biviere e lungo tutta la costa per costruirci sopra serre abusive dove coltivare pomodorini a grappolo, l’affare del momento, quelli da mettere tutto l’anno sulla pizza o sugli scaffali nei supermercati.
Li bagnano con acqua pompata dalle falde contaminate del petrolchimico. E le ultime dune di sabbia sopravvissute in riva al mare sono il luogo di scarico su cui coltivatori e mafiosi locali abbandonano e bruciano tonnellate di teli di cellophane, consumati ogni anno al ritmo di trenta quintali ogni ettaro, tremila chili di plastica ogni quadrato di cento metri per cento.
Ormai si vede solo cellophane, qui dove le serre ricoprono l’orizzonte per decine di chilometri tra il lago inquinato della riserva, stagni prosciugati e le esalazioni di immense vasche a cielo aperto accanto alle coltivazioni di carcio. Vasche colme di petrolio e altre sostanze tossiche che da vent’anni contaminano l’aria e il sottosuolo. Perfino la discarica autorizzata di rifiuti urbani, in riva alla fiumara a Mazzarrà Sant’Andrea in provincia di Messina, è cresciuta illegalmente: è trenta metri più alta del progetto autorizzato. Trenta metri, quasi un palazzo di dieci piani. Mentre quella di Tripi, nell’entroterra, l’hanno nascosta in cima a un monte di argilla, proprio in cima. E adesso rilascia percolato e frana nel torrente: tanto che tra qualche anno i turisti in vacanza nel golfo, da Milazzo alla Madonna di Tindari, invece di conchiglie colorate potrebbero raccogliere sacchetti e brandelli di plastica. Le discariche, sì. Chiuse le tre dell’oligopolio privato dopo indagini varie per truffa, corruzione e inltrazioni mafiose ed escludendo le quattro pubbliche di minore capacità, ne rimane una sola, a Siculiana, in provincia di Agrigento. Privata pure quella. I proprietari, Lorenzo, Fabio e Giuseppe Catanzaro, lui vicepresidente della Confindustria siciliana, garantiscono lo smaltimento terminale di quasi tutti i paesi e tutte le città dell’isola, cinque milioni di abitanti.
Visto che la Sicilia è sull’orlo della stessa emergenza che anni fa ha richiamato denaro pubblico e infrazioni europee a Napoli, si può dire che la famiglia del vicepresidente di Confindustria oggi può salvare la Regione governata da Rosario Crocetta. Oppure lasciarla affondare nell’immondizia. I fichi sulla corsia di sorpasso, le serre abusive sulle dune di Gela, i laghi di petrolio, gli scarichi tossici mai bonicati, l’oligopolio privato dei rifiuti sono capitoli del disastro siciliano uniti dalla stessa domanda: in quanto tempo hanno potuto radicarsi indisturbati? E in tutti questi mesi quante persone, quanti funzionari, quanti politici hanno visto e voltato lo sguardo dall’altra parte?
Un filo nero di inefcienze e anche peggio lungo 1.870 chilometri lega le storie delle discariche illegali nel Messinese all’acqua potabile privatizzata distribuita solo una volta ogni due settimane in provincia di Agrigento, dalle campagne inquinate a Gela alle fogne cittadine scaricate da tutta l’isola direttamente in mare: 1.870 chilometri che abbiamo percorso interamente, da Mazzarrà Sant’Andrea a Bellolampo sopra Palermo, dagli affari di Siculiana alle frane che dal 2011 hanno fatto cadere sette ponti e riportato le vie di comunicazione indietro di sessant’anni. È un lo di fallimenti che attraversa la Sicilia immobile nel tempo e conduce inesorabilmente a Palazzo d’Orléans, sede della presidenza e simbolo del potere. Con vecchi e nuovi Gattopardi dietro le quinte dell’autonomia amministrativa. Il solito seguito di Camaleonti sempre a disposizione. E qualche
Oca.
Il Principe che dà il nome a questa ultima epoca gattopardesca è un senatore Pd, Giuseppe Lumia, 55 anni, di Termini Imerese, a lungo simbolo dell’impegno contro la mafia. Ma poi sostenitore del governatore siciliano Raffaele Lombardo, giusto nel momento in cui il governatore viene indagato per concorso esterno a Cosa nostra e i suoi alleati gli tolgono l’appoggio.
E, dopo la condanna di Lombardo in primo grado a sei anni e otto mesi di reclusione e le sue dimissioni, ecco Lumia regista dell’operazione che fa vincere le elezioni a Crocetta, l’ex sindaco di Gela. Un nuovo “patto di ferro”, come quello con Lombardo. Questa volta sotto la bandiera del Pd, di Conndustria, di un pezzo del movimento antimafia e addirittura qualche magistrato. Ma quelle sono storie di palazzo. Il nostro viaggio passa molto più in basso. Dove ogni tappa, ogni scandalo riguarda da vicino tutti gli italiani. Perché espone la Sicilia a procedure di infrazione europee. E al rischio concreto di dover pagare le multe attraverso un aumento delle tasse nazionali. Acqua e immondizia, ambiente e salute. Morti i progetti di Stato, sono queste le uniche mangiatoie. Le stesse su cui l’alta mafia è sempre sensibile. Ovviamente niente raccolta differenziata, ferma quando va bene al dieci per cento. Niente inceneritori, che tanto senza differenziata non avrebbero niente da bruciare. Il piano rifiuti è rimasto un volume di carta. Tutto finisce sottoterra: umido e secco, vetro e plastica. Un altro scandalo è la discarica palermitana sulla montagna di Bellolampo: «A Palermo abbiamo una bomba ecologica sopra la testa», conferma Giuseppe Aloisio, procuratore regionale della Corte dei conti. Davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti, l’assessore regionale Vania Contrafatto viene convocata due mesi e mezzo dopo la sua nomina: «Quanto alla questione degli inceneritori», dice l’assessore ai Rifiuti della giunta Crocetta, «che pure erano menzionati in questo piano, che consta di trecento e oltre pagine, non vi nascondo che sono arrivata a pagina 210, quindi mi mancano ancora un centinaio di pagine per finirlo... Da numerosi studi che ho fatto da profana, ho visto che molti contemplano la termovalorizzazione come punto finale della chiusura del ciclo dei rifiuti... Io sono sempre stata una studiosa, nel senso che ho avuto anche la fortuna di essere nel comitato scientico del Consiglio superiore della magistratura e mi piaceva organizzare corsi di formazione permanente dei magistrati, portando su ogni tematica voci pro e voci contro». Raccontano sia stata imposta da Davide Faraone, ambasciatore
palermitano del premier Matteo Renzi e sottosegretario al ministero dell’Istruzione. Prima di entrare nella giunta Crocetta, Vania Contrafatto è vicesegretario nazionale di Unicost, la corrente di centro della magistratura, e per sedici anni lavora come pubblico ministero alla Procura di Palermo. «Sì, siamo tutti magistrati», dice l’assessore alludendo all’ex collega Antonio Ingroia, nominato da Crocetta commissario regionale per l’informatizzazione e poi finito sotto inchiesta con il presidente per le ennesime assunzioni, e al magistrato Nicolò Marino, già assessore regionale ai Rifiuti, uscito dalla giunta dopo una durissima battaglia contro l’oligopolio privato nelle discariche. Forse, proprio per le sue doti di studiosa, a maggio Renzi afda a Contrafatto i poteri straordinari di commissario per la depurazione delle acque: riuscirà l’assessore profano a evitare all’Italia un’altra multa da 185 milioni e adeguare in pochi mesi 57 Comuni siciliani, di cui ventisette senza fognatura? Gaetano Gullo è il direttore regionale messo al vertice dell’assessorato all’Ambiente per realizzare la rivoluzione legale promessa da Crocetta. «A metà giugno del 2013», racconta Gullo, «sono stato nominato d’emblée, senza saperne niente per la verità, direttore ad interim dell’Ambiente...
Io sono arrivato al dipartimento Ambiente, materia che peraltro non avevo mai affrontato e alquanto complessa.
Il codice è di 650 pagine. Riuscire a digerirlo richiede tempo. Capite bene che non è facile affrontare immediatamente una situazione di questo genere... Mi ha chiamato l’assessore (Mariella Lo Bello) dicendomi che era stata fatta una delibera... Non c’è possibilità di non accettare». Gullo ricorda bene quei giorni: «La puzza può essere di due tipi: può essere criminale, o comunque
relativa al malaffare, oppure legata a quello che si gira dall’altro lato. La puzza può essere dovuta all’indolenza e all’inadeguatezza del personale. La mia impressione è che c’era di tutto... Io non avevo uno staff di segreteria. Ero costretto a leggere e a studiare». Gullo alla ne viene promosso. Da inizio 2015 è “dirigente generale del comando del Corpo forestale della
Regione siciliana”: 1.200 uomini alle sue dipendenze, quasi un agente forestale per ciascuno dei chilometri che abbiamo
percorso. Inutile dire che non ne abbiamo incontrata nemmeno un’impronta. Il corpo regionale ha un record invidiabile: 127 verbali di infrazione nel 2013, 143 nel 2014. Produttività al contrario: una media di otto guardie a verbale e nulla da fare per il
resto dell’anno. Denunciare lo scempio a Gela, le dune sbancate o le vasche di petrolio a cielo aperto nella città del governatore
Crocetta sarebbe anche loro compito: «Dov’è la forestale? A Gela non c’è mai stata laforestale», risponde il procuratore della città, Lucia Lotti: «Esiste questo enorme distaccamento a Mazzarino. Credo siano cento, duecento, trecento persone, non lo so. Nessuno sa cosa facciano questi soggetti. Sorvegliano i boschi. Operano solo a Mazzarino, ma non hanno alcuna competenza dal punto di vista della materia ambientale. Sono un ammortizzatore sociale». Ricorda Emilio Giudice, direttore per la “Lega italiana
protezione uccelli” della riserva del Biviere: «Un’altra discarica nota a noi è sulla zona di Bulala, sulle dune, l’abbiamo trovata addirittura in combustione perché gli agricoltori per recuperare spazio le hanno dato fuoco e, una volta incendiata, è andata in pirolisi, in combustione sotto terra e ha continuato a bruciare per quattro-cinque anni. E poi ci hanno fatto le serre e i pomodori sopra». Eredità della ditta, autorizzata dalla Regione e poi fallita, alla quale sia la rafneria Eni, sia il petrolchimico afdavano i loro riuti tossici. «Personalmente non credo neanche alla buonafede di Gullo», confessa Nicolò Marino, magistrato e assessore ai Riuti
da ne 2012 al 14 aprile 2014: «Perché uno che rma un atto senza neanche leggerlo, tu quantomeno lo cacci. Io ho chiesto
più volte a Crocetta di cacciarlo. Alla ne chi fa i controlli? Quando iniziano i procedimenti... scrive che tutto è a posto, poi ci sono gli arresti e dopo due giorni modica la linea. Stiamo parlando della massima autorità ambientale della Regione siciliana». Anche l’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, dovrebbe controllare: «L’Arpa ha anche dei funzionari di polizia giudiziaria, ma tutti i dirigenti sono appannaggio di chi li nomina. Viene nominato un ufciale dei carabinieri», aggiunge l’ex assessore Marino, «un ex generale, persona per bene che ha avuto due ictus... Questo che doveva esercitare una serie di attività di controllo aveva avuto due ictus e la giunta rideva. Mi spiace sotto il prolo umano. Ma quando lo conobbi, chiamai Crocetta e gli dissi allarmato: “Rosario, la gente ride”. Mi rispose che la moglie era brava: aveva nominato questa persona perché la moglie era stata revisore dei conti a Gela e quindi dovevamo contattare la moglie per far ragionare questa persona. Questa è la Regione siciliana». Secondo Marino, così Palazzo d’Orléans convocava le riunioni: «Ho depositato alla Corte dei conti le note che avevo scritto a Crocetta su come venivano fatte le giunte: non c’erano ordini del giorno, erano convocate a minuti, nessuno studiava».Livia Di Franco, componente della commissione di verica sulle discariche, sostiene che molte autorizzazioni
regionali siano viziate da falsi: «Abbiamo incontrato pareri rilasciati telefonicamente.In una conferenza di servizio svolta presso la prefettura di Catania si scrive che viene contattato telefonicamente il responsabile del dipartimento che rilascia
telefonicamente il proprio parere... Abbiamo trovato rapporti di valutazione d’impatto ambientale negativi portati in conferenze di servizio negativi e diventati positivi nelle premesse del decreto...
Anche negli atti ufficiali, come provvedimenti impugnati al Tar, ci sono note ufficiali delle ditte che scrivono all’autorità competente ordinandole di difenderle in un certo modo... In un periodo di cinque anni hanno rilasciato migliaia di autorizzazioni
ambientali. Pensate a tutti gli impianti di trattamento di riuti pericolosi. Se il sistema era questo, il danno ambientale a cui la
Sicilia va incontro è incalcolabile». Tra le discariche che avrebbero beneciato della mancanza di controlli, quella gestita a
Mazzarrà Sant’Andrea da “Tirreno ambiente”, società mista che i Comuni della zona hanno costituito con colossi del Nord come “A2A” di Brescia. «La discarica di Mazzarrà», spiega il procuratore antimafia di Messina, Guido Lo Forte, «è stata uno
dei più grandi affari, non soltanto per la frode dei soldi pubblici, ma per una serie di smaltimenti non autorizzati di riuti, che ha abbassato i costi di una serie di imprese che le si rivolgevano».
Anche la discarica della società del vicepresidente di Conndustria, la “Catanzaro Costruzioni” a Siculiana, gode di forti beneci economici. La Regione le ha tagliato del cinquanta per cento l’ecotassa dovuta, cioè si è autoridotta le risorse per superare l’emergenza: 6 euro a tonnellata, invece di 12, come se venissero smaltiti riuti pretrattati. Giuseppe Catanzaro conferma di avere le autorizzazioni necessarie. Ma è il comandante del Corpo forestale, Gaetano Gullo, il dirigente di cui l’assessore Marino non si dava, a indicare ora la pista da seguire alla commissione parlamentare d’inchiesta (da cui sono prese le dichiarazioni ufficiali virgolettate in questo articolo): «Si trattava di concedere un’autorizzazione per tre milioni di metri cubi senza
tenere conto... di problemi relativi alla proprietà dei terreni. Io ho potuto vericare che c’era una problematica di questo genere
relativa alla discarica di Siculiana. Questo signicava che l’autorizzazione integrata ambientale non si poteva rilasciare... Ne
parlai dicendo che la questione mi preoccupava particolarmente, ma dopo la terza volta ho firmato il provvedimento».

 

FABRIZIO GATTI

L'ESPRESSO del 21 agosto 2015