Ancora un guaio giudiziario per l’ex sindaco di Pantelleria Alberto Di Marzo. Stavolta l’accusa da cui deve difendersi davanti il Tribunale di Marsala è omissione di atti d’ufficio. L’accusa è quella di non avere adottato tempestivamente un atto volto a garantire l’igiene e la salute pubblica. Nel dettaglio: la mancata rimozione (o comunque “messa in sicurezza”) della copertura in eternit di un magazzino comunale. E ciò malgrado una nota inviatagli, nel gennaio 2011, dal sostituto procuratore di Marsala Bernardo Petralia, sul cui tavolo era arrivato il fascicolo aperto nel 2006, quando sindaco era Salvatore Gabriele, a seguito della denuncia di un cittadino pantesco. Di Marzo si difende affermando di non aver saputo subito della comunicazione del pm Petralia, accusando, quindi, gli uffici di non aver fatto pervenire quella comunicazione sul suo tavolo. A difendere Di Marzo sono gli avvocati Stefano Pellegrino e Maurizio D’Amico. “Della comunicazione del sostituto Petralia – afferma D’Amico – Di Marzo non ha saputo subito”. Adesso, nel processo ha fatto ingresso la relazione redatta dal commissario capo dei vigili urbani di Marsala, Vincenzo Menfi, che a suo, da responsabile della sezione di pg dei vigili urbani presso la Procura marsalese, fu incaricato di svolgere indagini. “La relazione, però – dice l’avvocato D’Amico – non spiega quando il sindaco Di Marzo venne a conoscenza della nota del pm Petralia, a cui un funzionario comunale rispose nel novembre 2011”. La prossima udienza del processo si terrà il 16 novembre. In precedenza, l’ultimo guaio giudiziario di Alberto Di Marzo risale al 2012. Il 22 maggio di quell’anno fu posto agli arresti domiciliari dai carabinieri di Trapani con l’accusa di corruzione. Il successivo 19 luglio patteggiò la pena (il gup di Marsala lo condannò ad un anno e mezzo di reclusione), evitando così il carcere. In quel procedimento (anche quell’indagine fu coordinata dal pm Petralia), Di Marzo, che sette giorni dopo l’arresto si dimise da sindaco, fu accusato di avere intascato 10 mila euro versati da un imprenditore edile, l’alcamese Ernesto Emmolo, pretendendo anche gioielli per un valore di circa 800 euro. E ciò per l’assunzione, con contratto a tempo determinato, dell’imprenditore, Dario Emmolo, ingegnere idraulico, come tecnico al Comune. Il 26 giugno 2012, tre giorni prima della revoca degli arresti domiciliari, davanti al pm Petralia, Alberto Di Marzo confessò. Ammettendo di aver intascato la tangente di 10 mila euro e i gioielli. L’ex sindaco disse, inoltre, di essere disponibile a restituire anche i mille euro inizialmente trattenuti sulla tangente ricevuta e poi restituita all’Emmolo, nonché a versare all’imprenditore alcamese, a titolo di risarcimento danni, quei 40 mila euro inizialmente pretesi per l’assunzione del figlio. Emmolo, però, rifiutò l’offerta. Deciso, comunque, a sborsare del denaro, Di Marzo replicò che avrebbe dato la somma in beneficienza a un ente impegnato in attività di aiuto ai migranti extracomunitari. Nell’ordinanza di custodia cautelare per Di Marzo si sottolineava che è stato necessario anticipare l’arresto. E questo perché il sindaco avrebbe avuto sentore di essere sottoposto ad intercettazione e avrebbe potuto inquinare le prove. Dall’indagine condotta dai carabinieri diretti dal capitano Pierluigi Giglio emerse, tra l’altro, che l’ex sindaco, parlando con Emmolo senior (colloqui registrati), affermò di rendersi conto dei problemi che poteva causare un licenziamento a Dario Emmolo, accusato di avere commesso “cavolate”. Per questo, Di Marzo propose la soluzione delle dimissioni. Rieletto sindaco il 31 maggio 2010 (con il 62,56% di voti), in precedenza, Alberto Di Marzo era stato sindaco di Pantelleria fino al 23 settembre del 2002, quando fu arrestato con l’accusa aver compiuto estorsioni a danno di imprenditori in un contesto dove, secondo la Squadra Mobile di Trapani, “un gruppo di potere usava metodologie di tipo mafioso” per gestire l’isola. Allora, furono arrestati anche gli imprenditori Antonino ed Antonio Messina, padre e figlio, accusati, oltre che di estorsioni, anche di minacce, della detenzione di due kalashnikov, di attentati ad impianti di pubblica utilità e di avere commesso un attentato ai danni del tecnico del Comune di Pantelleria, Giuseppe Gabriele. Al momento dell’arresto, in possesso al Di Marzo venne trovato un foglio dove erano appuntate cifre che, secondo l’accusa, dovevano essere riscosse dalle imprese. In primo grado, Di Marzo venne condannato a 3 anni e sei mesi di reclusione per estorsione. In appello, però, venne assolto. E la Cassazione confermò la seconda sentenza. Decisiva sarebbe stata la decisione di non utilizzare alcune intercettazioni. Di Marzo risarcì, poi, con i 50 mila euro, l’imprenditore che lui avrebbe costretto a versare una mazzetta di pari importo.