Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
27/11/2015 06:35:00

Salemi. Storie di donne raccontate, recitate e cantate da donne

Se la Sicilia spesso è la metafora dell’Italia, Salemi lo è della Sicilia. Per i suoi pregi e per le sue contraddizioni. Appollaiata come un’aquila sonnacchiosa sull’erta di un colle, la cittadina arabo-normanna non finisce mai di stupire. Quando meno te lo aspetti, con un colpo d’ala esce dal suo proverbiale torpore per tornare a spiccare il volo sulla valle circostante. Del resto, non era nota un tempo con l’appellativo di “Atene della Valle di Mazara”? Queste considerazioni ci sono venute spontanee, partecipando alla “Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne” organizzata a Salemi dalla FIDAPA, un’Associazione, tutta al femminile, guidata con un accattivante piglio decisionista, da Raffaella Ferranti. Alla presenza del sindaco Domenico Venuti, che non si è limitato solo ai saluti dell’Amministrazione e della cittadinanza. Dopo le note degli Inni di Mameli, alla Gioia di Beethoven e quello dell’Associazione, con una scenografia altamente simbolica, allestita con misura ( scarpette rosse e candele accese disposte con gusto e raffinatezza) dalla vice-presidente Anna Pilocane, la presidente Ferranti dava inizio alla manifestazione con una breve ma toccante introduzione, soprattutto quando ha indicato il “posto occupato”, idealmente dedicato a tutte le donne vittime di violenza. “Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un amante, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro, affinché la quotidianità non lo sommerga”, ha detto, suscitando un lungo applauso della sala stracolma anche di giovani studenti. Erano presenti anche Doriana Licata del Rotary e Isidoro Spanò del Lions in rappresentanza dei loro clubs. Ma perché fu scelta proprio la data del 25 novembre? La decisione avvenne dopo che un gruppo di donne attiviste si riunirono a Bogotazione nel 1981 per ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle dominicane Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal. Un esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. Il 25 novembre del 1960, infatti, le tre sorelle, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio segreto militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. E’ stata l'Assemblea Generale dell'ONU nel 1999 ad ufficializzarla. In Italia solo dal 2005  alcuni centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata. Per la Fidapa di Salemi è il suo secondo anno. Il compito di illustrare e spiegare da un punto di vista psico-analista il fenomeno antico, ma sempre in agguato, della violenza perpetrata sulle donne è stato affidato a Rosa Rita Ingrassia, una psicologa- analista junghiana, che vive a Marsala, dove svolge la libera attività professionale. Da tempo si occupa di psicologia al femminile. Dal cui lavoro è nato il libro “Figlie del Mediterraneo - raccolta di storie di donne scritte da donne”. Per l’occasione ha scelto di raccontare due storie al femminile, storie di oggi, di ieri e di sempre, leggende e miti che vivono nella nostra mente guidando i nostri pensieri e le nostre azioni, che orientano il nostro destino, che declinano le nostre identità. Una è Marta. “Ha 16 anni, Marta, e frequenta il terzo anno di un liceo palermitano. Ha gli occhi verdi, i capelli lunghi e ricci. Indossa un jeans con una felpa munita di cappuccio…una mano regge lo smartphone mentre l’altra nervosamente continua a spostare un ricciolo che ostinatamente le cade dalla fronte. Da qualche tempo soffre di attacchi di panico che la colgono inaspettatamente, come l’attacco di panico fa, di sorpresa...in classe, a casa, con le amiche.” Inizia così l’affascinante racconto della psicologa Ingrassia, in un silenzio surreale che incanta la platea. Tra le pieghe del racconto, ecco fare capolino la prima parola chiave: panico. La sua etimologia risale al mito greco di millenni fa. Pan, metà uomo e metà caprone, dio delle montagne e della vita agreste, patrono del riposo meridiano, ma anche dispettoso e spesso violento. Il dio che non disdegnava assalire sessualmente le ninfe o semplicemente spaventare i viandanti, che casualmente attraversano i suoi boschi lanciando terribili ululati. Ecco. Tutte le volte che siamo assaliti dal panico stiamo facendo i conti con il dio Pan, per certi versi un dio burlone, che si impossessa della nostra ragione così come del nostro equilibrio emotivo. Alcuni racconti ci dicono che lo stesso Pan venne visto fuggire per la paura da lui stesso provocata. Ebbene. Rosa Rita Ingrassia, continuando il suo racconto, ci dice che “anche Marta era posseduta da Pan e questo l’aveva resa ulteriormente fragile, vulnerabile, intimorita dal mondo fuori sino al punto da escludersi quasi totalmente da esso. Le sue giornate erano diventate sempre più vuote; trascorrevano tra scuola e letto, costantemente attaccata al cellulare aspettando gli sms o i whatsup del fidanzato, di due anni più grande, unico punto di riferimento della sua vita”. Una vita, la sua, segnata dalla violenza domestica alla quale era costretta ad assistere. Un padre violento, forse in preda ai fumi dell’alcol, che frequentemente picchiala mamma o la aggredisce verbalmente. Fino alla separazione, vissuta malamente dalla figlia. Fino alla comparsa di Giulio, il fidanzato: “ meno male che nella mia vita c’è Giulio”. Giulio onnipresente. La mattina davanti scuola, ma anche all’uscita. Persino le amiche deve essere lui e solo a sceglierle per Marta. Giulio decide tutto per lei. Cosa indossare e come truccarsi. Ma non le unghia! Queste, non erano consentite, troppo volgari…niente vestiti o gonne, meglio i jeans. Hanno fatto l’amore, per lei la classica “sua prima volta”. Era avvenuto senza alcuna precauzione, perché a Giulio non piace fare l’amore con il preservativo e così lei, ogni volta, era “sempre più impaurita, terrorizzata dalle conseguenze che potevano accadere, ma non trovava il coraggio di replicare, di affermare il suo pensiero accanto a quello di Giulio…peccato che spesso chi protegge può anche soffocare sino al punto da togliere il fiato, di procurare l’affanno, di terrorizzare, di consentire a Pan di predare e spaventare... Coma dire che “chi ci protegge eccessivamente, spesso ci uccide.” Ma la lunghissima storia della violenza sulle donne ha radici antichissime. Ne troviamo le tracce persino nella preistoria, nel Mito greco! Quando si racconta di Filomela. Figlia del re Pandione, re di Atene, è invitata dalla sorella Progne a visitarla. Il padre, come da tradizione, consegna la nubile figlia a Tereo, marito di Progne. Galeotto fu l’invito. E la raccomandazione poco servì a sbollire gli ardenti spiriti del cognato. Tereo, preso dal solito “raptus”, come racconterebbero le cronache odierne, la stupra. E non soddisfatto, per evitare che raccontasse l’accaduto al suocero, le mozza la lingua abbandonandola nel bosco. Ma Filomela, una delle prime “donne coraggio” denuncerà l’infamia subita attraverso un ricamo su una tela che invierà alla sorella Progne. Oltre al ricamo potrà essere ordita la giusta vendetta. C’è un filo rosso tra la due storie accadute a distanza di migliaia di anni? Cosa unisce Marta, adolescente del 2015, con Filomela giovane della Grecia antichissima? A ben analizzare, nella dinamica dell’esperienza di queste due donne esiste più che un nesso profondo. Almeno stando alle conclusioni cui pervenne Carl Gustav Jung. Lo psichiatra-analista zurighese, studiando la malattia mentale affermò che “la nostra psiche, così come il nostro corpo, è il risultato dell’evoluzione del tempo e come tale conserva in sé la storia dell’umanità.” Così come esiste una parte del cervello più arcaico ed uno più evoluto, anche la nostra psiche conserva la storia dell’umanità, fin dalle origini. Filomela, così come i miti che ben conosciamo, vivono dentro di noi riverberando la loro storia e le loro gesta. Addirittura nella mozzatura della sua lingua come non vedere un’allusione alla castrazione del pensiero al femminile? “E’ così da sempre, il pensiero femminile per quanto saggio non trova ‘espressione di genere’ , la donna è senza voce, dice la dottoressa Ingrassia. Tanto radicato è questo atteggiamento che finisce per diventare autoiterdizione, funzione psichica che si censura. Non ha scritto forse nel suo diario Virignia Wolff: “Ogni volta che scrivo qualcosa e lo preparo per presentarlo all’editore, finisco per gettarlo nel camino…tanto –mi dico – ci sarà un uomo che scriverà qualcosa migliore di me” ? Il famigerato intercalare di taluni siciliani – ‘ a stari muta – non è divenuto condizione al femminile e del femminile? Dire che uomini e donne siamo uguali, viene ormai detto con facilità e spesso viene gridato in tutte le piazze. Questo le donne lo sanno fare e lo fanno in ogni occasione. Ma Rosa Rita Ingrassia va oltre. Citando il noto proverbio : - Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”Preferisce dire che accanto ad un uomo ci può essere una donna. Solo se l’uomo e la donna siederanno accanto -concludendo- non ci sarà vergogna a denunciare chi picchia e abusa…non ci può essere resistenza a fare l’amore con chi si ama, e mi riferisco ai giovani, prendendo le dovute precauzioni, nel rispetto reciproco dei corpi e delle scelte. Allora tutti noi siamo chiamati a costruire spolette, come il mito di Filomela racconta, a tessere tele dove raccontare le violenze subite, tutti siamo chiamati a trasformare i luoghi mentali e logistici dove abitiamo, ognuno a proprio modo” . Nel corso della manifestazione anche la giornalista Patrizia Paganelli ha voluto portare una testimonianza drammatica, raccontando parte del proprio vissuto biografico, a partire dal burrascoso periodo coniugale per arrivare al violento episodio in cui è rimasta vittima durante l’estate scorsa.

Un prezioso contributo è stato dato dall’ avvocato Claudia Marta Muscarella che collabora con un centro antiviolenza-casa rifugio denominata "Fiori di Loto"  sita sul territorio del trapanese ad indirizzo segreto il cui presidente è la dott.ssa Rosa Maria Bavetta. Dal 2014 è una delle 19 avvocate (ama definirsi così) in tutta la regione siciliana a far parte del CDS "Coordinamento Donne Siciliane" fondato e presieduto da Raffella Mauceri, un coordinamento fatto da donne, che lavora per le donne, volto a combattere ogni forma di violenza, con lo scopo di creare una rete unica tra tutti i centri antiviolenza riconosciuti sul territorio. A dispetto dell’età, appena 34 anni, ha avuto modo di lavorare con grandi professioniste (psicologhe, assistenti sociali, educatori) che le permette oggi di poter preparare al meglio una difesa per tutte quelle donne che hanno detto no alla violenza!

A rendere più gradevole l’incontro ci hanno quattro validissimi artisti componenti de il quartetto “Les Quatre ensemble”. Si tratta di una formazione originalissima e forse unica nell’isola, nata nel 2009 dall’incontro di : Debora Messina (voce), Giuliana Pantaleo (voce), Maria Luisa Pala (flauto), Giuseppe Gambino (chitarra). Un complesso rigorosamente acustico che trova, secondo noi, la sua unicità dalla presenza di due voci che si intrecciano tra loro formando delle armonizzazioni che impreziosiscono ancor più gli arrangiamenti curati, riteniamo dallo stesso Gambino. I brani offerti all’uditorio, che calorosamente applaudito, sono stati nell’ ordine: “Rosa canta e cunta” di Rosa Balistreri, che narra quella che fu la sua vita di affanni e sopprusi; “Ave Maria” di Fabrizio De André in cui vi è una descrizione della madre di Gesù molto più terrena e vicina a noi, raccontata non come divinità, ma più semplicemente come una donna, anzi, come una “femmina”; “Cantu pi tia” brano della tradizione siciliana che descrive le mozioni dell’amore puro e in conclusione “Bocca di Rosa”, di De André dove invece viene canta la figura di una donna forte e indipendente che sfida tutto e tutti senza avere paura di giudizi. Ad impreziosire la scelta musicale i monologhi presentati dall’attrice Giorgia Di Giovanni, attrice professionista, diplomata presso la Libera Accademia del Teatro del Sogno di Roma (triennio 2002-2005), dove ha studiato recitazione con vari maestri tra cui Anna Mazzamauro, Oreste Lionello, Paolo Ferrari.

 

Franco Ciro Lo RE