Come abbiamo raccontato ieri, è morto Carmelo Patti. Aveva 81 anni, ed è morto nella sua dimora di Robbio in Lombardia. Originario di Castelvetrano ha costruito un impero con l’azienda che ha fornito per anni a Fiat, i cablaggi della autovetture torinesi e poi con Valtur, colosso del turismo. Negli ultimi anni finisce coinvolto in diverse inchieste giudiziarie, con la richiesta di sequestro preventivo di tutti i suoi beni da parte dei magistrati. Pubblichiamo un estratto di Cosa Grigia, di Giacomo Di Girolamo (Il Saggiatore, 2012) in cui l'autore racconta l'epopea di Carmelo Patti:
(...) Nel 2004 la Valtur aveva firmato un contratto di programma per costruire cinque strutture fra Trapani e Ragusa, con un onere complessivo di 52,1 milioni di euro e altri 22,3 a carico della Regione Siciliana. Totale 74,4 milioni, ma a oggi non è stata posata neanche la prima pietra.
Patron della Valtur è Carmelo Patti, originario di Castelvetrano. Ha un piccolo impero da cinque miliardi di euro.
Io me lo ricordo, Carmelo Patti. Personaggi come lui ce ne sono dappertutto nel Sud Italia, questa leva di imprenditori che danno l’idea di non saper fare nulla, e invece fanno tutto, vengono su dal niente e cambiano giro in continuazione. Te li ricordi poveri e poi improvvisamente ricchissimi, senza sapere perché, come se ti mancasse un passaggio nell’equazione mentale che fa di un mezzo fallito un imprenditore di successo.
E te li trovi con la stessa confidenza a occuparsi di cliniche sanitarie come di biomasse, di movimento merci come di formazione o di rifiuti.
Qualche anno fa Patti aveva alcune aziende che si occupavano di «cablaggi», parola misteriosa per noi ragazzini. Noi ci rendevamo conto solo che dava lavoro a tante famiglie del quartiere. In pratica, si occupava di assemblare le componenti elettriche per le automobili della Fiat prodotte nello stabilimento di Termini Imerese. «Lavorare con i fili della Fiat» era un’espressione che a un certo punto divenne il miraggio per le famiglie di noi poveri cristi. Per alcuni era l’occasione per arrotondare lo stipendio da impiegato comunale, per altri un lavoro vero e proprio. Era il 1993. I fili erano quelli dell’impianto elettrico della prima versione della Punto. Quando ci raccontavamo questa storia, ci sentivamo italiani, fieri di essere anche noi una minuscola ruota nell’ingranaggio del Paese. C’erano dei piccoli stabilimenti, garage sperduti in campagna, ci lavoravano le mamme di molti miei compagni di scuola. Altri si portavano il lavoro a casa, e anche i bambini davano una mano, i fili di rame annodati stretti, la tavola che entrava in casa, magica e misteriosa, con i suoi connettori, i tappetini di plastica rossa. Le nonne in un angolo con l’uovo di legno a rammendare i calzini mentre gli altri erano alle prese con quel gioco che gioco non era. Era un addestramento che durava poco e pure io, che ho la manualità di un elefante, riuscivo a destreggiarmi bene. Poi, tutto finì, improvvisamente, perché c’è sempre un carico di lupini che non arriva a destinazione nelle storie della povera gente che conosco, e non fu un temporale improvviso a far naufragare quella barca di speranza di un lavoro duraturo. Semplicemente, a un certo punto, l’azienda non pagò più. Il mio amico Carlo, mio fratello Carlo, con quei soldi voleva pagarsi le tasse per l’università. Non lo pagarono mai. Lui all’università smise di andarci, le aziende del giro di Patti spostarono tutto – si diceva – nel nuovo eldorado dell’imprenditoria siciliana, la Tunisia, dove il lavoro costa meno, non ci sono regole rigide, non si parla italiano, e in pochi ambiscono di andare all’università.
Noi non lo sapevamo, ma in quegli stessi anni, tra il 1995 e il 1998, in cui le nostre piccole dita annodavano fili di rame per le macchine Fiat, Patti aveva messo in piedi un sistema di scatole cinesi che portò nel 1999 la Finanza a scoprire un’evasione fiscale da trentacinque miliardi di lire.
Carmelo Patti, che aveva cominciato come semplice elettricista per poi dare vita a questo giro di aziende nell’indotto Fiat, sparì dal nostro campo visivo. Spuntò qualche anno dopo nelle pagine dei giornali come una della persone più ricche e influenti d’Italia.
Giacomo Di Girolamo
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