Riprende oggi a Trapani il processo a Rino Giacalone, querelato dai familiari del defunto boss mafioso di Mazara del Vallo, Mariano Agate, per avere offeso la "reputazione" del loro congiunto per la la chiosa finale, utilizzata in un pezzo giornalistico nel quale, a conclusione di una lunga esamina dei crimini di cui si era macchiato l’Agate, lo stesso veniva apostrofato come “un gran bel pezzo di merda”. Giacalone si difende sostenendo che l'offesa non è gratuita ma è "una delle frasi più efficaci utilizzata da Peppino Impastato e in genere dal mondo della antimafia per definire l’organizzazione mafiosa come una grande “montagna di merda” e i suoi appartenenti dei “pezzi di merda”.
Nell’ultima udienza è stato sentito come teste della difesa Salvo Vitale, compagno di lotta di Peppino Impastato. “Nel 1966, Peppino – ha detto Vitale – creò un giornale che come prima uscita titolava in prima pagina: La mafia è una montagna di merda. Un articolo che al suo interno citava con coraggio i nomi dei mafiosi e dei politici corrotti”. Un elemento di rottura con il passato che come sostiene lo stesso Vitale: “è servito ad avere credibilità per smontare il sistema criminale di Cosa nostra basato sul rispetto dei mafiosi”.
Per Vitale dire che la mafia è una montagna di merda e i loro singoli componenti dei pezzi di merda è un’affermazione assolutamente tautologica. “Oggi – conclude Vitale è uno slogan che viene utilizzato da moltissimi e da chiunque si occupi di antimafia. In questo modo si intende delegittimare il sistema di potere e di rispetto che ruota attorno gli uomini di cosa nostra”.