Selinunte, Castelvetrano. Un tardo pomeriggio di Gennaio. Beppe Fontana passeggia nei pressi del porto, dove ci dà appuntamento. Un sessantenne in forma, con le mani grandi, e un fisico allenato. I suoi trascorsi da pugile aggiungono al suo nome di battesimo quel “Rocky” hollywoodiano.
E’ Beppe Rocky Fontana, da Castelvetrano. L’ex pugile, amico di gioventù di Matteo Messina Denaro, anarchico, poeta, autodefinitosi “prigioniero di stato” per i suoi 19 anni in carcere.
Parla davanti ad una tazza di tè al bar che fa diventare fredda, preso a raccontare la sua storia. A smentire ciò che si è detto sul suo conto. Per lui in questi anni hanno parlato le sentenze, le intercettazioni, i racconti fatti dai pentiti, e quello che emerge dalle tante inchieste antimafia che lo hanno coinvolto.
Ma una cosa, una delle prime cose che ci viene in mente, incontrandolo, è chiedere come ha conosciuto Matteo Messina Denaro. “Una sera è arrivato al mio locale, era il 1990, dopo che avevo cacciato alcuni suoi amici che avevano disturbato una ragazza. Gli ho detto che i suoi amici nel mio locale potevano entrare, ma non dovevano far casino. Lui mi disse “sai chi sono?”. Lo sapevo, gliel’ho detto che lo sapevo e che nel mio locale non si doveva far casino lo stesso”. Da allora, racconta Rocky, è nata un’amicizia. “Lui è rimasto colpito dalla mia personalità, gli ho fatto scoprire i libri. Ho tentato di fargli cambiare vita. Glielo dicevo quando eravamo giovani, lui con la sua personalità poteva fare qualcosa di buono per la Sicilia. Pensavamo anche di fondare un partito e lottare per l’indipendenza della Sicilia”. L’indipendentismo di Fontana coincide con quello di Cosa Nostra, che proprio nei primi anni 90, su input di Totò Riina, voleva fondare un partito indipendentista chiamato “Sicilia Libera”. Ma l’impostazione era diversa rispetto a quella anarchica di Fontana. “Rocky” racconta che in gioventù aveva conosciuto Mauro Rostagno, che al suo locale si esibiva Pino Veneziano, il cantastorie di Selinunte che cantava canzoni di lotta e resistenza.
E come lo prese quell’invito a entrare in politica il giovane Messina Denaro? “Mi diceva 'il mio destino è segnato'”. Messina Denaro fa parte di una stirpe di uomini d’onore su cui confida molto Toto’ Riina, a cui affida gli affari più delicati di Cosa Nostra in quegli anni. Messina Denaro tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90 dovrà organizzare lo sterminio degli oppositori dei corleonesi in provincia di Trapani, organizza la guerra di mafia a Marsala, viene mandato in continente per far fuori Giovanni Falcone, e diventa punto centrale delle stragi del 92 e delle bombe del 93. Poi si dà alla latitanza. Da allora è un fantasma, Messina Denaro.
Rocky Fontana l'anarchico, quello che ha “iniziato” alla lettura “U sicco”, l’uomo che sarebbe diventato il capo di Cosa Nostra. Ora Fontana è libero e racconta la sua verità. “Avevo una casetta con tanti libri, e lui veniva e leggeva”. Leggeva, frequentava la sua casa libreria e il suo locale, Matteo Messina Denaro. Con lui le donne, tante donne. “Bellissima”, definisce Fontana l’austriaca Andrea la dipendente di un hotel di Selinunte che fece perdere la testa al boss e anche al direttore dell’hotel, Nicola Consales, che venne ammazzato su ordine del boss per gelosia.
Ma in questi ultimi anni Fontana ha mai ricevuto pizzini da Messina Denaro? “No mai”, eppure in alcuni stralci dell'inchiesta Hermes che ha portato in cella i 'postini' del boss viene fuori il suo nome. “Non c'entro niente con loro. Una volta vidi Gucciardi ma dissi che non volevo avere a che fare niente”. Fontana il poeta, quello che ha scritto una poesia dal carcere a Matteo Messina Denaro.
Lascia che il tuo pensiero libero superi la barriera del sentimento, uccidi desideri vibranti dell'anima e spargili come banali foglie al vento. Attraversa il tuo ponte... e quando si spezzerà ricomincia a volare... e respira a pieni polmoni l'odore allucinante della vita perchè le persone come te e come me non conoscono catene, non conoscono la via del compromesso non conoscono leggi e imposizioni, perchè esisstono oltre l'esistenza, esistono oltre il tempo, esistono oltre se stessi e portano sulla fronte il marchio indelebile dell'indipendenza al prezzo della solitudine, amico mio.
“Questo è stato un errore...”, ammette.
E dal carcere Fontana ha scritto tanta roba, libri, poesie, e poi una volta uscito un blog con tutte le sue memorie, i suoi attacchi a giudici e giornalisti.
Fontana è libero da un paio di mesi. E' stato arrestato nel novembre 2014 nel corso dell'inchiesta Eden 2, l'ennesima indagine che ha fatto terra bruciata attorno al boss. “Ho passato 13 mesi in carcere da innocente, senza una condanna”. E rispolvera la storia del prigioniero di Stato. Dei suoi 20 anni in carcere per traffico internazionale di droga. Ripete, davanti alla tazza di tè caldo ormai diventato tiepido, ciò che scrisse lui stesso nella sua memoria difensiva nel processo Eden 2. “Mi sono fatto 20 anni di galera perchè mi rifiutai di fare l’infiltrato collaboratore per far catturare il già latitante Messina Denaro Matteo, volevo rimanere fuori da tutto questo mondo di guardie e ladri. Sono stato scagionato dalla polizia elvetica, dagli agenti Fbi, dal pentino Fabrizio Pirolo grazie al quale si potè compiere l’operazione “Onig” con 130 arresti nel mondo, tra i quali suoi parenti e amici e soci. C’erano tantissime prove a mio favore. Durante un’udienza si avvicinò un ispettore dello Sco al quale dissi 'lei sa benissimo che sono innocente, perché non lo dice alla Corte? Perché mi vuole condannato?' Mi rispose che dipendeva solo da me... dalla mia disponibilità a collaborare”.
Arriva la condanna e il carcere, e qui Beppe Fontana comincia a dichiararsi prigioniero di stato. Comincia a girare le carceri di tutta Italia. “Mi piaceva stare da solo in cella”. Sconta la sua pena e nel 2011 torna fuori. In pochi anni il suo nome torna alla ribalta. E viene colpito dall’inchiesta Eden 2. Nell’indagine viene coinvolto anche il consigliere comunale di Castelvetrano Lillo Giambalvo. Le intercettazioni sono pesanti. Gli inquirenti descrivono il giro di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro. Descrivono la figura di Giambalvo, che intercettato diceva a un amico che si sarebbe fatto volentieri 30 anni di galera per nascondere il boss latitante. Parlano di Beppe Fontana come un uomo tornato a contare nella consorteria criminale del Belice.
E’ soprattutto un episodio che coinvolge Fontana, il furto a casa sua di alcuni gioielli che custodiva per conto della famiglia Messina Denaro. “Non è vero - dice lui - erano gioielli di mia madre, non della madre di Matteo”.
Da lì scatta una caccia al ladro. Il pregiudicato autore del furto fu sequestrato sotto gli occhi della compagna e della figlia, rinchiuso in un casolare e massacrato a botte. Lo abbandonarono per strada in fin di vita. Un pestaggio brutale autorizzato, secondo gli inquirenti, da Girolamo Bellomo, nipote acquisito di Matteo Messina Denaro, ambasciatore del boss in quel di Bagheria: chi aveva osato rubare a casa di uno che “si è fatto vent'anni di galera” andava punito in modo esemplare. Bellomo viene intercettato mentre svela la caratura di Beppe Fontana e il grande errore che ha fatto l'autore del furto: “Sarebbe cosa di ammazzarli. Ci sono persone che non si devono toccare... Ci teniamo molto a Peppe Rocky”. Esce questo dall’indagine. “Non ho commissionato nulla io, non ho cercato l’aiuto di nessuno, ho subito fatto denuncia ai carabinieri dopo il furto”, dice adesso Fontana. “Chi aveva rubato a casa mia lo fece entrando dall’unico punto in cui l’allarme era guasto. Doveva saperlo, doveva sapere che c’era una piccola cassaforte, sapeva bene gli orari dei miei genitori e i miei. E nessuno dei contattati, incluso l’Angileri, a questo punto potevano essere responsabili del furto. Bensì qualcuno che aveva lavorato tanti anni nel ristorante dei miei e che adesso si gode il bottino in Tunisia o in Romania. Quando l’Angileri mi volle incontrare glielo dissi subito: guarda che mi dispiace ma io non c’entro con quanto ti è accaduto”. Da Eden 2 Fontana, come Giambalvo, è stato assolto in primo grado dall’accusa di estorsione e concorso in associazione mafiosa.
Fontana l’anarchico, il libertario, quello che va fiero dei concerti di Tony Scott al suo locale, che va fiero di aver conosciuto Matteo Messina Denaro. Quello che vorrebbe la Sicilia indipendente. Fontana l’ex pugile, il poeta, che in questi anni ha lasciato la sua difesa, molto sopra le righe, a un blog che si chiama proprio “prigionierio di stato”, che lascia alla fine di ogni suo scritto le parole “Hasta la victoria siempre”. “La mia colpa - si congeda davanti al tè ormai freddo - è quella di essere nato a Castelvetrano”.
Giacomo Di Girolamo