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05/02/2016 06:30:00

Marsala, rifiuti, soldi e affari: chi ha paura della Sarco?

 Racconta l’imprenditore Antonio Spanò che quando nei primi anni 2000 decise di aprire uno stabilimento per il trattamento dei rifiuti riciclabili (carta, cartone, vetro, metalli, eccetera…), non è che a Marsala ci fosse molto dove cercare. Trovò un’area, adatta a lui, vicino la Tenuta Volpara, fece la progettazione, si portò avanti con il lavoro, per poi scoprire che era una zona Sic - Zps, una zona a tutela ambientale, e che pertanto non avrebbe potuto fare nulla.
Si spostò allora, nell’attuale sede. Progetto presentato nel 2006, approvato nel 2008. Siamo sempre in quella che impropriamente chiamiamo la zona industriale di Marsala, venuta fuori dal caso e dalla necessità di fronte all’inettitudine di politici e amministratori. La Sarco si è insediata tra il letto del fiume Sossio e il canile comunale, a fianco l’area di “smistamento” utilizzata da Aimeri per la raccolta rifiuti. Per avere la corrente elettrica Antonio Spanò dovette aspettare più di un anno e mezzo.
E’ pertanto abituato ad aspettare e a fare spallucce, mettersi il cuore in pace, ma non poteva mai immaginare che per ampliare la sua attività, con un deposito di 100 metri quadrati (avete letto bene, la grandezza di un monolocale) per lo stoccaggio temporaneo di amianto avrebbe dovuto attendere tre anni e mezzo. Senza avere in mano ancora nulla.

Questa è la storia della Sarco, che è un fiore all’occhiello dell’imprenditoria locale - come tante, di storie importanti ce ne sono dalle nostre parti, non tutto è sempre mafia, truffa o tirare a campare - e che dal 2013 attende l’approvazione di una piccola variante per la sua attività. Una vicenda che è nota alle cronache locali, perché la richiesta di approvazione della variante è all’ultimo step ed è arrivata in consiglio comunale. E anche la nostra testata si è occupata di questa storia, riportando le prese di posizioni dei movimenti e i diversi commenti.

Le resistenze sono tante, gli animi, anzi, si scaldano. Come mai? Per rispondere a questa domanda, abbiamo deciso di andare a visitare la Sarco. Tra tutti i consiglieri comunali che non si sono sottratti al dibattito in questi giorni parlando di tutela dell’ambiente, ecosistema a rischio, tumori in arrivo per fibre di amianto a piede libero per la città, solo uno, Aldo Rodriquez, del Movimento Cinque Stelle, ha deciso di venire a vedere l’azienda, prima di prendere una decisione. Gli altri, parlano, come sempre per sentito dire. Giornalisti, politici: non si è visto nessuno.

Ed è un peccato. Perché, se uno gira, le cose le capisce. Sarco è un’azienda che nel 2008 dava lavoro a dieci persone. Adesso sono quaranta. Nel 2008 lavorava ogni anno 10.000 tonnellate di rifiuti. Adesso sono 45.000. Cosa fa Sarco? Principalmente, riceve il vetro e le lattine che noi esponiamo davanti la porta di casa un sabato si e un sabato no da Aimeri Ambiente, che fa la raccolta dei rifiuti per conto dell’Ato. Noi paghiamo le tasse, il Comune di Marsala paga l'Ato, l'Ato paga Aimeri, che raccoglie i rifiuti, e poi, in base alla tipologia, li distribuisce tra discariche o ditte come la Sarco, che pulisce il prodotto e lo rende riutilizzabile, rivendendolo ai consorzi. Sarco lavora anche la carta e il cartone (ma non per conto dell’Ato ), anche le ceramiche (“La gente non lo sa - dice Spanò - ma gli scarti di piatti e ceramiche sono utilissimi per l’edilizia”), e infine gli inerti e l’amianto.

L’amianto è un materiale per l’edilizia molto usato, ma anche molto dannoso per l’uomo. Mentre in Inghilterra già nel 1930 si pubblicavano gli studi sul rapporto fra amianto e malattie cancerogene, in Italia l’amianto è stato utilizzato alla grande dal dopoguerra fino agli anni ‘80, soprattutto grazie all’Eternit, un varietà di amianto lavorato con cemento armato e prodotto dall’omonima ditta. Amianto ed Eternit in Italia hanno avvelenato e ucciso migliaia di persone, tanto che dal 1992 il loro utilizzo è illegale. E quindi oggi chi ha un tetto in amianto, una cisterna, una qualsiasi costruzione, ha l’obbligo di rimuoverlo. In realtà pochi lo fanno, rispetto al tema c’è poca sensibilità. Ancora peggio, c’è chi leva l’amianto e poi lo va a buttare in campagna, come spesso raccontiamo su Tp24.it denunciando discariche trovate qua e là.

Sarco si occupa tra l’altro proprio di questo. Chi ha da smaltire dell’amianto chiama la ditta, che esegue delle procedure di incapsulamento, tratta il materiale con una vernice particolare, lo confeziona in un certo modo, lo sigilla, e poi va a portarlo nel centro di conferimento più vicino, che è a Palermo. “La legge ci obbliga a consegnare direttamentel’amianto che recuperiamo a Palermo, e per noi rappresenta un costo, che chiaramente si riversa sull’utente. Abbiamo allora deciso di creare un piccolo centro di stoccaggio temporaneo all’interno della nostra azienda, per evitare di fare più viaggi”. Tutto qui. L’area di 100 metri quadri nasce proprio per questo. E’ individuata all’interno di un capannone dove è previsto anche il trattamento di elettrodomestici e grandi mobili. Il capannone è già in regola.
Sarco si inguaia perché chiede la variante, in realtà, per due aree annesse al deposito. Sono queste ad essere realmente in discussione. Una riguarda un impianto per il trattamento di inerti, l’altra un’area per lo stoccaggio di materia prima e seconda.
La pratica avanza, durante la conferenza di servizi, lenta, ma senza particolari stop. Poi si arriva in consiglio comunale e cominciano le osservazioni. A Palazzo VII Aprile  la cosa si impantana. Alla ditta Sarco, viene contestato da alcuni consiglieri di tutto. Si comincia con le falde acquifere. Infatti, sotto il terreno dove insiste la ditta c’è una riserva di acque sotterranee. La zona è nota come “Piano Spicchio”. L’accusa è: l’amianto filtra nel sottosuolo, finisce nelle falde acquifere, ci avvelena. Ma in realtà l’amianto in questione è incapsulato, assomiglia più a un blocco uniforme, poggia su delle piattaforme. E poi il “Piano Spicchio” interessa una zona enorme, che va da Scacciaiazzo a tutta la zona industriale di Marsala. Sono molto più pericolose le discariche abusive di amianto, presenti tra l'altro anche in quella zona. Basta fare un giro. 
La seconda contestazione riguarda i tumori, cioè i pericoli per le abitazioni vicine e coloro che vi abitano. Anche qui, se solo si girasse la zona, o si prendessero in mano le carte, ci si accorgerebbe che non ci sono abitazioni particolarmente vicine, che intorno sono tutte zone destinate a verde agricolo (e quindi in realtà se abitazioni ci sono, dovrebbero essere immobili rustici per il fondo agricolo, mica ville con piscina), e vale sempre il principio dell’incapsulamento di cui sopra: essendo l’amianto trattato, fibre non ne volano. La discarica di amianto che abbiamo dietro casa, quella si, invece è pericolosissima.
Una parentesi: tempo fa Tp24.it raccolse l’appello del signor Baldino, che abita con la sua numerosa famiglia vicino la Sarco - in linea d’aria sono 500 metri - e che lamentava il fatto che la notte non poteva riposare perché l’impianto era attivo h24 ed era molto rumoroso. Scoprimmo, tanto per cambiare, tutta l’irregolarità spongiforme di quella zona (assenza di regole, di zone cuscinetto, di limiti), e l’azienda, comunque, dopo un po’ di tempo cessò l’attività notturna.
Altra contestazione, infine, l’ultima, riguarda la presenza del canile comunale, che confina con la Sarco. Il canile è un presidio sanitario “passivo”. Può stare vicino ad un’azienda che tratta i rifiuti? Poveri cani, viene da pensare. Ma viene da pensarlo anche prima, perché in realtà il canile è messo a sandwich: da un lato la Sarco, dall’altro la postazione provvisoria di Aimeri Ambiente, cioè, una discarica, sul quale tra l'altro hanno indagato i Carabinieri del NOE rinviando a giudizio i responsabili locali di Aimeri. Tirato in ballo, l’ingegnere Valenti, del Comune di Marsala, ha fatto presente che è tutto regolare, perché non è previsto, nel regolamento del canile, una distanza minima da attività produttive. Non solo, leggi alla mano, ad esser pignoli, è il canile che, forse, in quella zona non doveva essere fatto (ma questa è un’altra storia).
La vicenda è arrivata a questo punto: il consiglio comunale ha deciso di rinviare le carte alla conferenza di servizi per ulteriori valutazioni su questa vicenda del canile. Ecco il testo integrale della deliberazione:


“Il Consiglio Comunale, dopo ampia discussione sull’argomento all’ordine del giorno, ritiene che il progetto sottoposto all’esame di quest’Organo sia palesemente non rappresentativo della realtà dei luoghi, in particolare non è evidenziata la presenza della Struttura sanitaria (Canile comunale) a confine con la struttura che si intende realizzare. Tale palese omissione progettuale, in considerazione delle caratteristiche dell’iniziativa e delle implicazioni di varia natura che la stessa comporta, fa si che il Consiglio comunale non possa assumere, in assenza di chiarimenti riguardo a quanto esposto, la decisione di propria competenza nell’esprimere il parere. Per tali ragioni, si invita l’Amministrazione comunale, nella persona del Sindaco, a porre in essere ogni iniziativa utile a rappresentare quanto emerso nel corso dell’esame della proposta di deliberazione e all’Assessorato regionale di competenza, in particolare al Dirigente responsabile della Conferenza di Servizi, per chiarire se la medesima Conferenza di servizi è a conoscenza di quanto rilevato, le eventuali determinazioni consequenziali, nonché, in caso di assenza di attuali determinazioni, le eventuali iniziative che intende assumere per far si che tale organismo nonché tutti i soggetti coinvolti nel procedimento possano esprimere le valutazioni di competenza avendo una reale e corretta rappresentazione dei luoghi dove l’iniziativa dovrebbe realizzarsi. Per quanto sopra esposto in attesa dei chiarimenti richiesti, il Consiglio Comunale delibera:
di sospendere la trattazione dell’atto;
di trasmettere la presente proposta di deliberazione al Sindaco, con l’invito a rappresentare il contenuto della stessa all’Assessorato  Regionale competente “


C’è chi poi tira in ballo un parere dell’Arpa,
l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, che tempo fa ha mosso alla Sarco alcune contestazioni, e le ha inserite nel verbale della conferenza di servizio. “Ma noi ci siamo prontamente adeguati - chiarisce Spanò - e comunque sono aspetti che non c’entravano nulla con la nostra richiesta di variante”.

Le cose che Antonio Spanò ha raccontato a Tp24 avrebbe anche voluto raccontarle ai consiglieri comunali. Ma non solo, come dicevamo, nessuno, a parte Rodriquez, è andato mai a rendersi conto di cosa sia esattamente quell’azienda, ma anche la richiesta di Spanò di essere ascoltato in commissione consiliare (dove solitamente i nostri consiglieri fanno di tutto, anche i gavettoni…) non è stata mai accettata. Perché?

Ma, soprattutto, chi ha paura della Sarco?
Forse la risposta ce la possono dare dalle parti di Petrosino. Lì ha sede la Maeco srl. Che è una concorrente di Sarco. Avete visto quante belle realtà che abbiamo nel territorio? Insomma, Maeco fa la stessa cosa di Sarco: messa in riserva, recupero, smaltimento di rifiuti pericolosi, della raccolta differenziata e speciali. Raccoglie e tratta la plastica e parzialmente anche la carte per conto dell’Ato. Come allora vennero decise dall’Ato queste assegnazioni (la ditta X fa la plastica, le ditte X e Y a turno la carta…) non è dato sapere. La Maeco opera dal 2001.
Ha un’area di 8000 metri quadri.
E ha paura della Sarco.
Lo scrive chiaramente in una lettera inviata ad Ottobre alla Regione, al Comune di Marsala, all’Ato: “Il nostro impianto risulta attualmente sovradimensionato rispetto ai flussi di rifiuti della raccolta differenziata raccolti nel territorio della Provincia di Trapani”.
Oibò, pensa il cittadino: se lavori poco perché la raccolta differenziata è bassa allora bisogna impegnarsi per aumentarla. Da noi c’è la raccolta differenziata più bassa d’Italia, appena il 12%.  Le stime per il 2015, i dati non sono ufficiali, parlano addirittura del 10%! Per riportare un dato, ritornando al vetro, in Italia la media è di 30 chili l’anno per abitante, con punte in Sardegna di 40. In Sicilia facciamo ridere: 6,5 chili l’anno per abitante.
Quindi uno pensa: Maeco scrive agli organi per dire di aumentare la raccolta differenziata, di spingere sull’acceleratore, così lavora di più. E lavorano tutti.
E invece no. Scrive Maeco:


“Alcune settimane fa siamo venuti a conoscenza di una istanza presentata dalla ditta Sarco srl per la realizzazione, in variante allo strumento urbanistico, di una piattaforma per le operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti nel territorio del Comune di Marsala. A nostro parere la realizzazione della piattaforma richiesta dalla Sarco determinerebbe un rilevante impatto ambientale ed urbanistico sull’intero territorio poiché si tratta di un’opera che andrebbe a sorgere a pochi chilometri di distanza da un’altra piattaforma già da tempo esistente qual è la nostra, nonché causerebbe delle rilevanti ripercussioni a danno della nostra società e degli investimenti fino ad oggi da noi effettuati per offrire, da diversi anni , una piattaforma funzionale ed efficiente all’intero territorio provinciale”.

E’ curioso che si parli di “impatto ambientale ed urbanistico”, quando in realtà il motivo è chiaro: la concorrenza. Non s’ha da fare, l’altro impianto, perché prima c’eravamo noi “a pochi chilometri di distanza”. E’ singolare anche che amministratrice della Maeco sia Fiorella Alagna, che è presidente del Gruppo giovani di Confindustria Trapani.

Questa dunque la situazione, questi i fatti. Come finirà non è dato sapere. Questa vicenda è importante, nel suo piccolo, perché racconta molte cose: quanto sia difficile fare impresa in Sicilia, innanzitutto. Per Sarco come per Maeco. E quanti interessi ci siano nello sregolato e ormai sempre emergenziale mondo dei rifiuti. Se ci sono tensioni, se in consiglio comunale si urla, si alza la voce, se i pareri spariscono e poi compaiono di nuovo (è successo anche questo, nella vicenda Sarco) vuol dire che in ballo ci sono interessi grossi. A noi cittadini piacerebbe che le imprese fossero libere, rispettando le regole, di farsi sana concorrenza, e che i politici facessero davvero gli interessi della comunità. Il fatto non è di dire Si o no alla variante, per carità, ma di usare quanto meno argomentazioni un po’ più plausibili. Uno sforzo di fantasia, ragazzi. Se no così, viene da pensar male. E, come dice il proverbio, a pensare male...

Giacomo Di Girolamo