Fondi europei, che pacchia! “Europacchia” è proprio il titolo di una frizzante ed impietosa inchiesta giornalistica sulla gestione dei fondi europei curata dal giornalista Tommaso Botto. Un centinaio di esclusivi documenti accompagnano il lettore in un viaggio tra i meandri della programmazione europea, svelando i retroscena, gli errori e gli sprechi della Pubblica Amministrazione che si dimostra, per l’ennesima volta, incapace di adempiere ad i propri doveri.
Una disanima ricca di aneddoti, anche divertenti, che seziona con chirurgica attenzione i tanti aspetti di alcuni programmi di finanziamento europeo, dal Friuli al Veneto, dalla Slovenia all’Austria, dall’Emilia alla Sicilia. Uno studio sul campo, frutto di un paio di anni di indagini, che vuole far luce sull’effettivo utilizzo di miliardi di euro e sulle ricadute, sovente inesistenti, dell’impiego di questi denari. Dagli articoli che costituiscono l’ossatura del libro sono state originate numerose interrogazioni, sia in Parlamento che presso i Consigli Regionali; oltre ad alcuni filoni d’indagine avviate dalla Procura della Repubblica. Ecco qui l’introduzione:
La locuzione “Fondi europei” indica una pluralità di strumenti finanziari, ossia soldi che, tramite il circuito dei Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF), vengono re-iniettati nel tessuto economico e sociale dell’Unione Europea, dal quale comunque originano.
Ve ne sono molti, forse troppi, con i nomi, e relativi acronimi, dei principali anche italianizzati: partiamo dal FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale); poi c’è il FES (Fondo sociale europeo); quindi troviamo l’ETC (Fondo europeo di sviluppo regionale all’obiettivo di cooperazione territoriale europea); e il GECT (gruppo europeo di cooperazione territoriale); e l’FC (Fondo di Coesione); e il FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale); e il FEAMP (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca); e il FEG (Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione); in appendice trovate una ‘breve’ legenda.
Occhio che poi questi fiumi di denaro si suddividono in mille torrentelli, con mille sigle e siglette, delle più stravaganti: EASI (Occupazione ed innovazione sociale), EACEA (Education, Audiovisual and Culture Executive Agency), LLP (Lifelong Learning Programme), CIP (Competitiveness and Innovation Framework Programme), Erasmus+, etc.
Da ogni torrentello, poi, si ripartono centinaia di rivoli di finanziamenti destinati alle cose più impensabili: ci piace segnalare, giusto per fare un banalissimo esempio sinora nemmeno accennato nella sterminata letteratura euro-scettica, lo studio ““Pig castration: methods of anaesthesia and analgesia for all pigs and other alternatives for pigs used in traditional products“.
Sembra un’abnorme banalizzazione ma è solo con ironico umorismo che ci si può addentrare in questa complessa, contorta e sfiduciante materia alla quale diamo appunto il nome di “Fondi europei”.
Una precisazione è d’obbligo: nel sentire comune, maldestramente confermato dai media, pare che la UE sia un ente estraneo, quasi un vicino di casa che, chissà perché, ogni tanto sgancia dei denari.
Niente di più errato: la UE, volenti o nolenti, siamo noi stessi.
Quindi, quando si parla di “soldi della UE”, parliamo comunque di soldi nostri, di soldi usciti dalle tasche dei contribuenti che, in qualche modo, se ci riescono, potrebbero in qualche modo recuperarli, tramite appunto i “Fondi europei”, iniettandoli nel proprio circuito economico.
Quindi, quando un “Sole24Ore” titola “Fondi europei: ci sono ancora 8,8 miliardi di euro da spendere”, dice una mezza verità perché quei soldi lì -e questo modesto libro dà prova proprio di questo- sarebbe meglio non spenderli affatto.
Peggio fa, ad esempio, L’Espresso quando allarma tutti con un “Fondi europei, l’Italia butterà sei miliardi”: lascia erroneamente intuire che questi soldi siano d’altri, quasi fossero un obolo di Babbo Natale e che ci fermiamo lì, sotto l’Albero, lasciando tutti quei bei doni alla mercé della Befana.
Ed è forse per questo preconcetto che si parla spesso con leggerezza delle notizie sui “Fondi europei”, relegate sovente nelle pagine centrali (ma in basso) dei giornali o esclusivamente in quelli economici, quasi che tutti questi miliardi piovessero da Marte e non ci riguardassero più di tanto: “Tanto (347 miliardi di euro nel settennato 2007-13!)… sono della UE!”.
Invece si tratta, non dimentichiamolo, di soldi nostri e gli scettici, che son sempre più numerosi, tagliano corto con questo ragionamento da Uomo Qualunque: “Lasciatemeli direttamente in tasca, diminuendo la pressione fiscale, che ci penso io a sviluppare la mia regione!”.
In effetti, se avrete la pazienza di scorrere le pagine che seguono…
Si diffonde sempre più la percezione che questo sistema di finanziamento, o meglio, questo giro di soldi burocratizzato, sia inutile, forse addirittura controproducente per le economie dei singoli Stati appartenenti alla UE.
Dall’invenzione dell’Euro ad oggi non si è ben capito quali risultati abbiano dato, in termini pratici alla collettività, questi fiumi di denaro.
In oltre due anni di studi ed inchieste abbiamo conosciuto una miriade di personaggi: studiosi, confidenti, burocrati, consulenti, farabutti, mafiosi, politici,.. e nessuno è mai riuscito a portarci davanti agli occhi un risultato pratico degno di nota.
Semmai, e lo leggerete nelle pagine che seguono, indagando e cercando il pelo nell’uovo (spulciando tra peli molto piccoli in grosse uova di struzzo), abbiamo scoperto l’esatto contrario: casi eclatanti di spreco di denaro pubblico, a vantaggio di amici e conoscenti dei decisori pubblici che, tramite artifizi regolamentativi, riescono sempre ad inserire tra i beneficiari di questi finanziamenti i loro clientes.
Questo libello non è assolutamente un saggio di economia: è invece una raccolta di inchieste giornalistiche volte a svelare retroscena e misfatti, il dietro le quinte di questa materia, spesso autoreferenziale ed indigesta, densa di informinquinamento all’ennesima potenza.
E vi diciamo il perché.
Già un programma, che titola “2007-2013” ma che vede i suoi eventi conclusivi a marzo 2017, di per sé incuriosisce.
Se poi, all’interno di tale programma, il primo progetto parte, anziché nel 2007, a settembre 2009, si inizia a veder vacillare qualsiasi convincimento in fatto di misurazione del tempo e certezza del calendario.
Quando, ancora, si prende in esame il programma operativo e si contano ben 1210 pagine, la curiosità e l’incertezza si amplificano.
Diciamocelo: i fondi europei sono un bordello: un caos molto complesso che si trasforma in una vera e propria “pacchia” (milionaria) per i soliti furbi ed i soliti noti.
Ormai abbiamo fatto un po’ di gavetta ed è sempre più forte il sospetto che questo bordello sia fatto apposta.
Ogni qualvolta incappiamo in un documento con la bandierina europea e una sigla, tipo quelle enunciate poco sopra, sappiamo già che sarà prolisso, ultra-denso di riferimenti legali, dihyperlink ad ogni dove, con sigle ed acronimi difficili da comprendere e da memorizzare, pieni di belle promesse (in un certo qual modo di sogni): non è disfattismo, è quotidiana esperienza.
È come se Ilgranmanovratore, di cui abbiamo abbondantemente rappresentato l’essenza in un altro piccolo libro, avesse assunto dimensioni continentali, sovrastando non solo i singoli ma le sovranità dei singoli (miserelli) Stati, con i suoi contorti metodi manipolativi.
Insomma: a parole, l’Europa e i Fondi strutturali sarebbero una cosa bellissima.
Nei fatti, invece, assolutamente non lo sono.
Per cui, secondo il motto del giornale on-line Dovatu.it (Video meliora proboque, deteriora sequor), ne diamo approfondita notizia: guardiamo ed approviamo le cose migliori ma ci attraggono quelle peggiori. È l’essenza del giornalismo d’inchiesta.
Le notizie, per nulla tenere, in questo più che variegato ambito, letteralmente continentale, trattate in questo minuto libello, riguardano il nostro raggio d’azione quotidiano: Nord-Est, Austria, Slovenia e la solita puntatina in Sicilia, giusto per cercar conferme antipodiche.
Tutta ‘roba’ buona e genuina, scevra da edulcorazioni di uffici stampa e propagande politiche.
Insomma, come dice una costosissima campagna mediatica promossa mesi fa dalla UE: “Di Europa bisogna parlare!”.
“Dicendo la verità”, aggiungiamo noi.
Buona lettura e… buon fegato!