Un agguato in stile mafioso ai danni di un imprenditore di Alessandria. La moto che si accosta all'auto della vittima, gli spari e poi la fuga. Ora i Carabinieri hanno arrestato i responsabili, e uno di loro è un trapanese.
I Carabinieri del Comando Provinciale di Alessandria, assieme ai militari del Comando Provinciale di Trapani, hanno infatti dato esecuzione, presso il capoluogo siciliano, ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP piemontese nei confronti di Vito Sorrentino, trentanovenne già noto alle forze dell'ordine, ritenuto responsabile, in concorso con Vittorio Ippolito Giacobbe, calabrese ventottenne, bloccato nell’immediatezza dei fatti, dell’aggressione in danno di un noto imprenditore edile alessandrino che, nella prima serata del 9 maggio veniva fatto oggetto di 4 colpi di pistola di grosso calibro ad opera di un “commando” di due giovani a bordo di motocicletta.
I fatti. La vittima dell’agguato, alle ore 19.35 circa del 9 maggio scorso, in Spinetta Marengo(AL), terminata la giornata lavorativa era sulla via di casa, quando la sua BMW X6 veniva affiancata nel traffico da una moto di potente cilindrata, di colore bianco e rosso, con a bordo due soggetti travisati da casco, uno dei quali, il passeggero, esplodeva in rapida successione quattro colpi d’arma da fuoco (verosimilmente, una 357 Magnum), contro la fiancata laterale sinistra dell’autovettura, lasciando miracolosamente illeso il conducente, invertendo poi la marcia e dandosi alla fuga. Tuttavia, il manto stradale reso viscido dalla pioggia e l’alta velocità facevano perdere al pilota il controllo del mezzo, che rovinava a terra, fuoriuscendo dalla carreggiata, per cui gli aggressori erano costretti ad allontanarsi a piedi, per le campagne. L’immediata battuta svolta dalle pattuglie dell’Arma confluite numerose in zona ha permesso di rintracciare poco dopo, presso la stazione ferroviaria di Spinetta Marengo, sporco di terra e fradicio di pioggia, Vittorio Ippolito Giacobbe: l’uomo, recentemente convertito alla fede islamica, nativo di Gioia Tauro(RC) ma da tempo residente in nord Italia, è già noto alle forze dell'ordine. Contestualmente, gli investigatori identificavano anche il secondo componente del “commando”, Vito Sorrentino, siciliano trentanovenne, da tempo residente nel bresciano, gravato da numerosi pregiudizi di polizia che, per sottrarsi alla cattura, riparava nelle campagne di Calatafimi(TP), nei pressi dell’area archeologica di Segesta, proprio nelle terre di elezione del super boss Matteo Messina Denaro. Lì, il fuggitivo poteva contare sulla protezione omertosa del numeroso nucleo famigliare d’origine, e, in particolare, di un nipote, pastore trentaquattrenne, presso la cui masseria, in contrada Rocche, è stato effettivamente localizzato dopo un servizio di appostamento notturno. Il giovane “custode” del Sorrentino appartiene ad una famiglia già assurta, nell’agosto del 2014, agli onori della cronaca, quando il padre, Salvatore Li Bassi, allevatore cinquantottenne, pregiudicato, venne arrestato dai Carabinieri di Trapani che nell’occasione gli sequestrarono a Calatafimi, contrada Bernardo, la più grande piantagione di canapa indiana mai scoperta in Sicilia: 15mila metri quadrati di terra dove venivano coltivate in maniera intensiva e crescevano rigogliose 35mila piante di canapa, alte da un metro a due metri e mezzo, pronte già all’espianto, che, una volta immesse sul mercato, avrebbero fruttato la somma astronomica di 35 milioni di euro. Al momento del blitz, Sorrentino ha comunque tentato la fuga, desistendo solo quando si è visto circondato dai Carabinieri: quando è stato rintracciato, l’uomo esibiva una fisionomia molto diversa dalle foto segnaletiche, presentando, contrariamente alle sue abitudini, capelli tagliati corti “ad arte”, inoltre evidenziava una ferita all’occhio destro, procuratasi accidentalmente ad Alessandria subito dopo l’agguato, durante le fasi concitate della fuga. Sorrentino è stato arrestato con le accuse, in concorso con Giacobbe Vittorio Ippolito, di tentato omicidio, tentata estorsione, porto e detenzione illegale d’arma, ed è stato associato alla casa circondariale di Trapani. Alla base del gesto, condotto in “stile mafioso”, e finalizzato a “far abbassare la cresta” alla vittima, motivi di interesse, riconducibili ad un credito insoluto che un fratello del Sorrentino asseritamente vanterebbe nei confronti dell’imprenditore oggetto dell’agguato per alcuni lavori edili effettuati in passato.