La pagina controversa delle indagini per la cattura di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro è stata al centro dell'ultima udienza del processo per la trattativa Stato-mafia attraverso l'audizione del maresciallo Saverio Masi, attualmente capo della scorta del pm Nino Di Matteo. Masi, che è stato condannato recentemente per falso ideologico a sei mesi di reclusione, ha parlato soprattutto degli ostacoli creati, a suo dire, da alcuni ufficiali del gruppo dei carabinieri di Palermo rispetto alle sue iniziative investigative nella caccia a Provenzano e a Matteo Messina Denaro. Masi, che all'epoca dei fatti era in servizio alla sezione antirapine, ha ripetuto fatti già raccontati in altri processi.
Ha quindi riferito che le sue iniziative non incontravano il sostegno della "scala gerarchica" soprattutto nella fase culminante degli appostamenti nelle campagne di Mezzojuso in cui si pensava che si trovasse il covo di Provenzano. A Masi sarebbero state create difficoltà e gli sarebbe stato impedito con un pretesto di piazzare una telecamera per tenere costantemente sotto controllo il casolare. Alla fine l'operazione venne abbandonata. Un ufficiale gli avrebbe detto: "Non abbiamo intenzione di catturare Provenzano. Non rompere più i c...".
MESSINA DENARO. "Lo guardai in faccia e lo riconobbi". Era il 2004 quando il maresciallo dei carabinieri Saverio Masi avrebbe incontrato in una strada di Bagheria (Palermo) l'ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. Di quell'incontro - di cui informò i superiori solo dopo alcuni giorni - Masi conserva un nitido ricordo e ne ha parlato al processo per la trattativa Stato-mafia, ribadendo quanto già dichiarato in passato. In auto, fuori servizio, Masi incrociò un'altra vettura ferma davanti a una villa con il proprietario che stava aprendo il cancello. Nel superarlo, dopo una piccola manovra, Masi guardò il conducente.
"Era identico - ha detto - al fotofit di Messina Denaro pubblicato in quei giorni dai giornali". Non avvertì i suoi superiori con i quali era in cattivi rapporti ma una persona che non trovò più l'auto segnalata. Masi non si fermò. Avrebbe fatto indagini in prima persona: piazzò una telecamera davanti alla villa e identificò il proprietario originario di Castelvetrano, il paese di Messina Denaro. Avrebbe pure fermato l'attenzione su un giro persone riconducibili al boss più ricercato d'Italia. Solo dopo alcuni giorni Masi presentò una relazione di servizio che, in alcune parti, alcuni ufficiali gli avrebbero chiesto di purgare. E solo nel 2010, quando i contrasti con i superiori erano esplosi con uno scambio di denunce, Masi ha tirato fuori la relazione originale prodotta in udienza dal pm Vittorio Teresi.