Tornano a fare discutere le copertine del mensile "S". Questa volta a sentirsi offeso è il senatore di Forza Italia, Antonio D'Alì. Fresco di assoluzione, anche in appello, per il processo che lo vedeva imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, D'Alì si ritiene danneggiato dalla copertina, che, parlando di "nuove rivelazioni" accosta il volto di D'Alì a Matteo Messina Denaro. Recita lo strillo:
"Da Michele Aiello a Giulio Andreotti, ma anche Cuffaro, D'Alì, Dina e molti, molti altri. In esclusiva pubblichiamo tutti i verbali del pentito Fondacaro che svela i segreti della massoneria a Trapani e in tutta la Sicilia".
All'interno si riportano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia calabrese Marcello Fondacaro, che ha parlato dell'esistenza di logge massoniche deviate di cui fanno parte uomini della 'Ndrangheta e di Cosa Nostra. In Sicilia ci sarebbe una loggia, chiamata La Sicilia, con a capo Matteo Messina Denaro e di cui farebbero parte mafiosi trapanesi, nonché il senatore D'Alì. Ma queste stesse dichiarazioni non sono state ritenuti utili per la definizione del processo e il giudice non le ha acquisite.
Ritenendo la sua immagine lesa dalla copertina e da alcuni passi dell'articolo su "mafia e massoneria nel Trapanese", D’Alì, tramite i suoi legali, ha pertanto chiesto alla direzione della testata di interromperne la distribuzione e provvedere al ritiro immediato delle copie.
“Si tratta di una richiesta inaccettabile - ha detto Andrea Tuttoilmondo, presidente dell’Unci Sicilia –. Un simile atto di censura non rientra in quella che dovrebbe essere la normale dialettica tra informazione ed esponenti del mondo politico. L’ordinamento italiano infatti prevede già ampiamente tutti gli strumenti necessari a tutelare l’immagine di chi si senta leso, senza per questo impedire la libera circolazione delle idee e delle notizie necessarie ad una corretta formazione critica dell’opinione pubblica”.
Va anche detto, più in generale, che di recente in un editoriale, La Repubblica interviene sui limiti di un giornalismo troppo schiacciato su pm e procuratori, specializzato nel pubblicare carte e verbali ma poco attento a quanto avviene nel territorio, lì dove ci sono le storie: "Anche noi giornalisti dobbiamo riconoscere di avere rinunciato a una funzione critica nei riguardi delle iniziative dei pubblici ministeri, prestandoci ad amplificare l’eco di procedimenti dalle basi dubbie, senza dedicarci all’approfondimento dei fatti e della rilevanza penale".