Non finiscono mai i guai giudiziari per Michele Licata, l’imprenditore marsalese re delle strutture ricettive e delle sale ricevimenti.
Ieri c’è stato l’ennesimo sequestro di beni ai danni di Licata, ed è soltanto l’ultimo della serie. Negli ultimi due anni sono stati messi i sigilli ai suoi beni per svariati milioni di euro.
Quello di ieri è un sequestro di quattro milioni di euro operato dalla Guardia di Finanza di Marsala su disposizione della Procura. La somma, scrive la Procura di Marsala, riguarda il “profitto ottenuto dal Licata per la mancata tassazione dei proventi derivanti dal reato di appropriazione indebita commesso dallo stesso ai danni delle società delle quali è stato amministratore nel corso degli ultimi anni”.
Ancora una volta si tratta di somme che secondo la Procura sono state ottenute illegalmente, perché, in sostanza, erano soldi che Licata aveva "rubato" alle sue società negli ultimi anni, in questo modo evitando anche che le stesse pagassero le tasse. L’inchiesta di questi giorni fa seguito al sequestro dello scorso aprile di 8 milioni di euro.
Licata, secondo le indagini, era un maestro nelle false fatturazioni. Vennero scoperte fatture per operazioni inesistenti per 25 milioni di euro, e tutto ciò è servito negli anni, a Licata, per appropriarsi di oltre nove mlioni di euro. Il sequestro di ieri nasce proprio dalla tassazione che è stata evasa su questi nove milioni di euro, un seuqestro che avviene in via diretta e nella forma “per equivalente” su beni e disponibilità finanziarie attualmente nella disponibilità del Licata.
La novità di questo sequestro deriva dal mancato pagamento di tasse su profitti illeciti.
E’ quindi l’ennesimo sequestro ai danni del re delle strutture ricettive.
Tutto cominciò nell’aprile del 2015. Con la prima inchiesta della Procura di Marsala che scopre un vorticoso giro di fatture false, evasione e truffa e sequestrano conti correnti, beni immobili, quote societarie a Michele Licata e ai suoi familiari per 8 milioni di euro, pìù beni immobili delle sue società che arrivavano al valore di 100 mlioni di euro.
Poi a novembre del 2015 arriva il sequestro preventivo della sezione misure prevenzione del Tribunale di Trapani. L'operazione è stata chiamata "Scacco al re", perchè "Licata è il re delle strutture turistiche alberghiere in zona". E' la prima volta che si applica una misura di prevenzione tipica per i mafiosi per un soggetto che è un evasore. Si tratta di un sequestro preventivo, mentre ad Aprile si trattava di un sequestro per equivalente, nato per recuperare i soldi sottratti all'erario.
Il sistema Licata si basava su un metodo che a molti è sembrato raffazzonato, ma che negli anni - secondo quanto emerso dalle inchieste della Procura di Marsala - ha fruttato parecchi soldi al re delle strutture ricettive a Marsala. Un sistema basato sulle false fatture, che servivano per accedere a finanziamenti europei, che servivano anche per evadere l’Iva. Tutto attraverso imprenditori compiacenti che staccavano fatture gonfiate o per operazioni inesistenti. Un sistema scoperchiato dalla sezione Pg della Guardia di Finanza e dalla Procura di Marsala che hanno messo sotto sequestro l’impero di Michele Licata, un sequestro da 127 milioni di euro, il più alto in Italia per reati estranei alla mafia. Quest’anno le indagini sono continuate, e nel corso di una perquisizione operata dalla guardia di finanza sono stati trovati, nelle abitazioni di Licata, somme in contanti per 50 mila euro e assegni per 200 mila euro.
Il procedimento per Licata è ancora in corso e le sue strutture ricettive sono in amministrazione giudiziaria, anche se non proprio tutto fila liscio. Baglio Basile, Delfino, Delfino Beach, Volpara. Le più grosse sale ricevimenti della zona, che si sono ingrandite, secondo quanto emerso dalle inchieste, grazie alle triangolazioni di Licata che con fornitori compiacenti gonfiava le fatture per ottenere finanziamenti pubblici e per evadere le tasse. Proprio alcuni di questi fornitori sono stati condannati qualche mese fa. Queste condanne mettono Michele Licata praticamente con le spalle al muro. Anche perché alcuni degli imprenditori “complici” hanno ammesso le loro responsabilità.
Licata ha “impegnato” gli inquirenti anche sul fronte dei reati ambientali. Soprattutto per quanto successo dalle parti di Torrazza, a Petrosino. Una spiaggia che ricade in zona protetta su cui Licata aveva messo le mani, dopo un affare chiuso con Calcedonio Di Giovanni, imprenditore vicino alla mafia a cui nelle scorse settimane hanno confiscato i beni, come Kartibubbo. In quella zona protetta di Petrosino Licata voleva creare un’altra Kartibubbo, ma è stato fermato dalle inchieste della Procura di Marsala. Il lido, che diede inizio all’occupazione di Torrazza e della zona dei Margi, non era in regola e così solo dopo anni dal sequestro venne smontato. Dietro però Licata stava realizzando un enorme complesso turistico alberghiero secondo la procura attraverso una lottizzazione abusiva e altri reati ambientali.
Uno dei business su cui aveva messo gli occhi Licata era poi quello dell’accoglienza ai migranti e assistenza sanitaria.