Ad un certo punto, ieri, mentre scorrevano immagini e titoli dagli Stati uniti, mi ero ricordato di un cimelio, piccolo, e personale ricordo dei tempi dell’università, quando collezionavo prime pagine dei giornali. Mi era venuto in mente che, da qualche parte, avevo conservato una copia di un quotidiano di otto anni fa, di quando Barack Obama veniva eletto presidente degli Usa per la prima volta. Il titolo a caratteri enormi: “Il mondo è cambiato”. Il mondo, era davvero cambiato. Nella nazione del Ku Klux Klan, delle discriminazioni razziali, si eleggeva il primo presidente di colore. Erano giorni da pelle d’oca, ricordo, in cui per la prima volta i social e internet avevano un peso importante nella corsa al potere, almeno negli States.In cui era rinata la speranza di vedere concretizzarsi le battaglie civili e il riscatto sociale delle “minoranze”.
Mi è venuto questo flash, ieri, mentre la chioma di Donald Trump trionfava, e quella di Hillary svaniva come le illusioni date dai sondaggisti.
Ha vinto quindi il populismo. Il politicamente scorretto, la demagogia, il parlare alla pancia della gente, al popolo che nulla sa e nulla gli frega di dinamiche politiche, di equilibri diplomatici, di finanza e agenzie di rating. Ha vinto l’intolleranza, quella schizzata intolleranza americana verso lo straniero, quando negli “iuessei” sono tutti stranieri. Ha vinto lo spettacolo, il personaggio. Il maschilismo tutto cowboy e rivoltelle. Ha vinto il “vaffa” a stelle e strisce agli accordi sul clima.
Ha vinto un tipo di approccio alla politica che fa paura, che autorizza toni decisamente accesi che si spera non si accentueranno ancora di più in Europa, come un effetto valanga.
C’è da dire che più che vincere Trump, ha perso Hillary, la signora dell’apparato, che sta antipatica a tutti.
Ora, qui, noi del sud dell’Europa, dalla Sicilia, siamo distanti e non possiamo sapere e conoscere le cose loro, le cose americane, che spesso neanche sappiamo analizzare le nostre.
Ad esempio siamo lì a criticare lo strano sistema elettorale americano, ma non è che il nostro sia da meno. E poi noi che ne sappiamo della vastità di quello stato, dove ci sono contee in cui il populismo attecchisce alla grande.
L’America, però, è sempre l’America.
Allora un ragionamento piccolo piccolo mi sento di farlo. Per quel “il mondo è cambiato” che tenevo conservato in un raccoglitore.
Secondo molti osservatori a decidere queste elezioni, oltre al populismo di Trump, sono stati i millennials. Ossia i ragazzi nati tra il 1982 e il 1999. Una generazione che ha fatto la differenza non andando a votare.
Il Premio Pulitzer William Finnegam ha spiegato su Repubblica che “i venti-trentenni in
America, sono molto più per i democratici che per i repubblicani. Per vari motivi. Il principale
è che chi è stato adolescente nel Terzo Millennio non se ne fa niente di uno slogan che richiama gli anni Ottanta come “Make America great again” di Trump: non può avere nostalgia di qualcosa che non ha vissuto. Il secondo è stato il carisma di Obama, che otto e quattro anni fa fece dei giovani una delle chiavi del suo successo. Il terzo è che la politica dei democratici è comunque più attenta al sociale e questa è una generazione che vive di incertezze sul futuro. Il punto è stato farla andare alle urne”.
Ecco sarebbe stata questa emorragia a far perdere Hillary, la più scontrosa e antipatica candidata che si potesse trovare. I millennials americani in sostanza erano per Bernie Sanders, il candidato democratico sconfitto alle primarie dall’ex first lady. Un settantenne che predicava giustizia sociale, che aveva idee e parlava di futuro, che rappresentava anche le istanze dei giovani. Fuori lui, fuori loro. Fuori i giovani americani. Ed è una cosa molto triste. E’ triste, e tanto, se il più grande paese del pianeta perde il contatto con le forze che dovrebbero cambiare il mondo, se perde il contatto con le nuove generazioni tendenzialmente progressiste, le uniche che possono arginare un moto populista che coinvolge anche l’Europa.
A proposito di progressismo, e di partito democratico. Faccio un volo, lungo lungo, e magari azzardato. Ma vado, senza guardare in basso. Va dalla Trump Tower, e arriva al Complesso San Pietro, a Marsala. Ve l’avevo detto che era lungo e vertiginoso.
Bene, perchè penso a quello che è successo negli Stati Uniti, ai giovani che si astengono. E poi alla platea del congresso del Pd di Marsala. C’era l’apparato, gli esponenti del partito, i consiglieri, i detentori di cariche, e tanti anziani reduci delle vecchie formazioni della sinistra. “Millennials” neanche l’ombra, a parte quei pochi pochi consiglieri comunali. A Marsala non c’è più in sostanza una sezione giovani del Pd, non c’è più una sinistra giovanile, nè un movimento politico (stabile eh) di ragazze e ragazzi. Hanno perso il contatto con la generazione propulsiva, con la generazione del rinnovamento, progressiva per definizione. E’ stata mangiata da una classe dirigente che bada più a discutere di alleanze e posizioni di potere che altro. Mangiata da tanti piccole Hillary e piccoli Bill.
Francesco Appari