Solo arringhe difensive nell’ultima udienza del processo con rito abbreviato (il pm Antonella Trainito ha respinto la richiesta di patteggiamento) all’imprenditore Michele Licata. Per la sentenza bisogna ancora attendere. Anche perché i legali non hanno ancora concluso il loro compito. Si proseguirà, infatti, venerdì. Davanti al gup Riccardo Alcamo, hanno effettuato i loro interventi gli avvocati Carlo Ferracane e Stefano Pellegrino. Venerdì toccherà al palermitano Gioacchino Sbacchi e al milanese Salvatore Pino. Per Michele Licata, ex imprenditore leader in provincia nel settore ristorazione-alberghiero, l’avvocato Ferracane ha invocato il minimo della pena. Intorno a due anni di reclusione (il pm ha chiesto 6 anni e mezzo). Non potendo contestare il reato di evasione fiscale, il difensore ha chiesto l’assoluzione per quello di malversazione. Contestazione mossa da Procura e Guardia di finanza per denaro che Michele Licata ha sottratto alle sue società per fini personali. Circa un milione e 800 mila euro. “Questo denaro – afferma, però, l’avvocato Ferracane – è stato trovato in un conto corrente postale ed è già stato restituito”. Lo stesso legale ha, poi, chiesto la derubricazione dell’accusa di truffa allo Stato in “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” (articolo 316 ter del codice penale). “Le opere per cui sono stati chiesti i contributi pubblici – spiega ancora il difensore di Licata - sono state effettivamente realizzate. Il problema, semmai, la diversa destinazione d’uso”. L’avvocato Stefano Pellegrino ha, invece, ribadito le richieste di patteggiamento per le figlie di Michele Licata: Clara Maria e Valentina. Per la prima è stata concordata una condanna a un anno, sei mesi e 20 giorni di reclusione, per la seconda a un anno, due mesi e 15 giorni. Intanto, rimangono ancora da versare allo Stato una parte delle tasse evase nel 2013. Per questa colossale evasione fiscale (circa 6/7 milioni di euro di Iva e altre imposte non pagate tra il 2006 e il 2013), al “gruppo Licata” sono già stati sequestrati beni (ristoranti, alberghi, società e liquidità) per un valore stimato in circa 127 milioni di euro.
In particolare il procedimento approdato davanti al Gup Riccardo Alcamo è quello relativo al sequestro “preventivo d’urgenza” di somme di denaro, quote societarie, beni mobili e immobili, per un valore di circa 13 milioni di euro, nonché quote sociali e beni mobili e immobili di quattro complessi aziendali per un valore stimato in circa 90 milioni di euro, effettuato il 21 aprile 2015 da Procura e Fiamme Gialle. Questo primo sequestro ha riguardato il ristorante-sala ricevimenti “Delfino”, il “Delfino Beach”, l’agriturismo “La Volpara” e il “Baglio Basile” (albergo-ristorante-sala convegni-centro benessere con piscina). E “per equivalente” anche quote delle relative società, nonché de “L’arte bianca” e “Sweet Tempation” (panificazione) e “Rakalia” (assistenza residenziale). In novembre, dopo il coinvolgimento di altri familiari, seguì il sequestro disposto, sempre su richiesta della Procura di Marsala, della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani (beni per un valore di 127 milioni). Dopo questo ulteriore sequestro, gli investigatori definirono Michele Licata “abituale evasore fiscale socialmente pericoloso”.