E’ morto Ambrogio Valenza. Aveva 58 anni. Era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Vincenzo D’Angelo, rappresentante di commercio trapanese. Una vicenda che fece pensare all’esistenza di un “mostro” a Pantelleria, un serial killer che uccideva le persone. Si trattava invece di una squallida vicenda di sesso finita con gli arresti dei responsabili, il 23 agosto del 1991. Il Procuratore di Marsala che firmò quegli arresti fu Paolo Borsellino, allora Procuratore della Repubblica di Marsala. Con Ambrogio Valenza finirono dietro le sbarre i tre fratelli Bonomo, Giacomo, Vincenzo e la sorella minorenne Maria Grazia.
Una vicenda che era iniziata l’otto di febbraio di quell’anno quando improvvisamente scomparve nell’isola il rappresentante Vincenzo D’Angelo di 29 anni. Dopo due giorni di ricerche arrivarono a Pantelleria il padre e l’allora fidanzata del giovane. La ragazza, convinta che Vincenzo fosse stato con un’altra donna, fece un appello sul giornale di Sicilia: “Se mi hai tradito e sei andato con un’altra torna ti ho già perdonato”. Vincenzo D’angelo era stato con un’altra, ma non sarebbe mai più potuto ritornare perché quell’incontro con Maria Grazia Bonomo gli era stato fatale. D’Angelo aveva conosciuto la ragazza, all’epoca minorenne, qualche mese prima quando era stato nell’isola per fare il suo solito giro per i negozi. Tra loro c’era stato un rapporto di sesso, che era stato scoperto da Ambrogio Valenza, suo amante.
L’omicidio
Accecato dalla gelosia, secondo quanto poi emerse dal processo, Ambrogio Valenza avrebbe organizzato una spedizione punitiva insieme ai fratelli della ragazza, Giacomo e Vincenzo Bonomo, conclusasi con l’omicidio di Vincenzo D’Angelo in località Punta Tre Pietre dove la ragazza era stata costretta ad attirare il giovane amante. Il rappresentante fu ucciso a colpi di spranga di ferro e il suo cadavere fu caricato in macchina e gettato in un burrone profondo 300 metri in località Saltalavecchia. Era venerdì 8 febbraio 1991. Il martedì successivo il padre di D’Angelo ritrovò in una pozza di sangue, dietro ad un albergo, in località Punta Tre Pietre, su segnalazione di un pescatore, tre denti e un ciuffo di capelli. Scattarono le ricerche in tutta l’isola.
Il ritrovamento del corpo
Arrivati a Punta tre Pietre gli investigatori guardarono anche nel burrone. Non avendo visto qualcosa di significativo, stavano andando via quando per “sfortuna” degli assassini un tenente dei carabinieri trovò un foglio di carta con l’intestazione della ditta di dolciumi per la quale lavorava D’Angelo, che il vento aveva fatto risalire dallo sprofondo. Per questo motivo i militari guardarono giù con i cannocchiali e videro dei gabbiani che andavano tutti a beccare in uno stesso posto. Arrivarono i vigili speleologi che scesero con le corde e fecero la macabra scoperta. Il corpo del povero ragazzo era nel burrone con la testa fracassata.
Le indagini
Le indagini condotte dal Procuratore Paolo Borsellino non condussero in un primo momento ad alcuna conclusione e i giornali cominciarono a parlare del “mostro di Pantelleria” perché nell’isola c’erano già altri due omicidi irrisolti che restano tali anche oggi: quello della tabaccaia Francesca Errera uccisa con diversi colpi di un punteruolo e quello dell’imbianchino napoletano Antonio Sanna ucciso nella casa che aveva preso in affitto in località Madonna delle Grazie con 21 coltellate. Fu la moglie di Ambrogio Valenza, Cristina Macchi, 25 anni allora, che raccontò al Giudice Borsellino come erano andate le cose. Lo fece anche per riavere indietro il figlio, nato il 20 aprile del 1991, che il marito, così disse Cristina Macchi, l’aveva costretto ad abbandonare come “figlio di madre che non intende essere nominata e di padre sconosciuto”. Cristina Macchi in un interrogatorio drammatico condotto dal pubblico ministero Alessandra Camassa (attuale Presidente del tribunale di Marsala) presso la corte di Assise di Trapani raccontò quello che già aveva detto a Borsellino. Vincenzo D’Angelo era stato ucciso da Ambrogio Valenza e dai due fratelli Bonomo (condannati a 24 anni, pena poi ridotta a 16 anni) per “punirlo” perché aveva, a loro dire, abusato di Maria Grazia allora minorenne. Ambrogio Valenza fu condannato all’ergastolo. Malato da tempo è morto ora presso l’ospedale Sant’Antonio di Trapani. Non ha mai confessato il suo delitto professandosi sempre innocente.
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