Essere papà significa godere di diritti diversi, a seconda dello Stato europeo in cui si vive. I congedi parentali infatti sono classificabili nell’ambito di alcune categorie: congedi che possono esseredivisi tra entrambi i genitori, congedi che possono essere utilizzati da un solo genitore e congedi misti. In 14 Stati membri i congedi parentali possono essere divisi tra i genitori (ad esempio in Germania, Danimarca, Cipro). In 12 Stati membri si tratta di un diritto individuale (tra cui Belgio, Francia, Grecia, Italia), mentre in Portogallo, Svezia e Norvegia i congedi parentali comprendono due parti, una che può essere utilizzata in modalità condivisa e un’altra che non può essere condivisa. L’ultima è relativa al periodo ravvicinato al parto e di conseguenza a disposizione della madre per il normale accudimento del bimbo. L’altro è a disposizione delle parti e può essere indifferentemente goduto da padre o madre secondo le necessità.
In merito ai congedi di paternità, in tutti e 28 gli Stati membri dell’Unione sono previsti congedi di paternità con l’eccezione di alcuni, ovvero Austria, Irlanda e Germania. In termini di durata, i congedi di paternità variano considerevolmente dai due giorni obbligatori previsti dall’Italia ai 20 giorni del Portogallo, ai 30 dalla Lituania.
“La Legge di bilancio, che sarà operativa soltanto dal 2018, prevede una giornata in più di congedo facoltativo: il congedo papà arriverà, così, a un totale di 5 giornate. Per il 2017 sono confermate le due giornate di congedo obbligatorio, assieme alla possibilità di fruire di due ulteriori giorni di congedo facoltativo. Le giornate di congedo di paternità obbligatorio non sono fruibili in alternativa all’astensione obbligatoria della lavoratrice madre, ma si aggiungono al congedo di maternità - spiega Simone Colombo, consulente del lavoro ed esperto di direzione del personale in outsourcing, che prosegue - Cinque giorni sono certamente utili anche solo per il disbrigo delle prime pratiche amministrative e per aiutare la famiglia con la nuova organizzazione ma non sono risolutivi. Probabilmente, fermo restando che la legge fa un primo passo avanti, politiche di orario flessibile o brevi riduzioni di orario avrebbero una maggior efficacia e sarebbero di maggiore aiuto per i padri”.
In ogni caso si tratta di un risultato importante perché il ‘congedo papà’ non è più un diritto a tempo: prima il giorno di congedo obbligatorio era da riconfermare anno per anno, ora si è stabilita una progressione. L’obiettivo resta quello di arrivare ai 15 giorni di congedo obbligatorio per i papà nei primi cinque mesi di vita del bambino.
Ma quanto costa il congedo alle casse dello Stato? Ogni giorno obbligatorio costa 10 milioni, mentre quello facoltativo 1,3 milioni. Si tratta di un impegno importante da parte dello Stato. Il governo quindi spenderà 20 milioni nel 2017, che saliranno a 40 nel 2018 per i giorni obbligatori, più 1,3 milioni per quello facoltativo (41,3 milioni nel 2018 nel complesso).
In Italia il quadro sottolinea inoltre una netta differenza nell’utilizzo del congedo dal nord al sud: in Sicilia il 30%degli uomini chiede il permesso per stare a casa con i figli, segue la regione Lazio con il 18,4% e la Sardegnacon il 16,7%. I dati sembrano confermare che le regioni a più alta occupazione pubblica sono quelle dove le richieste di congedo parentale dei papà sono maggiori, confermato dal fatto che le due regioni con maggior occupazione private, Veneto e Lombardia, sono ultime e ferme all’8,1%.
“Laddove i congedi parentali possono essere fruiti in modalità condivisa, l’utilizzo che ne fanno i padri è piuttosto basso. Nel caso in cui, però, il congedo sia connotato come diritto individuale e relativamente ben retribuito, i padri ne fanno un uso maggiore”, Questo è confermato dalle legislazioni in materia nei paesi del Nord Europa come Danimarca, Islanda, Norvegia e Svezia. Essi prevedono il congedo parentale come diritto individuale (quota papà) e un livello di retribuzione che arriva anche al 100% (Norvegia). Nella maggioranza dei casi i congedi di paternità sono retribuiti dal sistema di previdenza nazionale; in Romania e nei Paesi Bassi, in cui sono previsti rispettivamente 5 giorni e 2 giorni di congedo di paternità, la retribuzione spetta per intero ai datori di lavoro.
Recentemente, in alcuni Stati membri, sono state promosse iniziative volte ad accrescere l’utilizzo dei congedi parentali e di paternità. Nei sistemi che prevedono congedi parentali che possono essere utilizzati da entrambi i genitori, uno strumento ampiamente usato per promuoverne l’utilizzo da parte dei padri è quello di prevedere un bonus in termini di ampliamento della durata o in termini economici (ad esempio in Austria).
Un’altra iniziativa attuata per incoraggiare i padri a utilizzare i congedi è quella di offrire l’opzione di usufruire del congedo parentale in modalità part time. Vantaggio di questa opzione è la grande flessibilità. I Paesi Bassi ad esempio prevedono per legge il congedo parentale part time, il tempo pieno è possibile solo con il pieno accordo del datore di lavoro.
L’utilizzo del congedo di paternità sta aumentando in quei Paesi che hanno introdotto il congedo di paternità obbligatorio (Italia, Portogallo), che rimane su base volontaria nella maggior parte degli Stati membri. Grandi differenze tra i paesi UE esistono anche sulla lunghezza massima del congedo di paternità (i padri finlandesi hanno un congedo di paternità di 54 giorni, il più lungo in Europa).
Quanto sin qui evidenziato, mette in luce alcuni effetti positivi: garantire il congedo parentale con una quota esclusiva per i padri promuove la paternità soprattutto se il partner non è in congedo nello stesso lasso di tempo della madre e facilita il reingresso della madre nel mercato del lavoro dopo la maternità. Nel momento in cui, quindi, si vengono a creare le condizioni per una distribuzione più equilibrata dei carichi di cura tra entrambi i genitori, si potrebbe contribuire all’aumento della partecipazione delle donne e degli uomini al mercato del lavoro.
“È comprovato da studi di settore che un congedo parentale lungo possa avere una ricaduta negativa sulle lavoratrici, qualora non venga il più possibile condiviso con il partner. Le donne avendo, infatti, retribuzioni di norma più basse, sono generalmente coloro che usufruiscono di tali congedi, rimanendo quindi più a lungo lontane dal mercato del lavoro, con una ripercussione negativa sulle proprie skill. Questo meccanismo alimenta anche fattori di segregazione orizzontale e verticale e più in generale di discriminazione”, aggiunge Colombo.
In Italia, dove il lavoro non retribuito e i carichi di cura gravano maggiormente sulle donne, è fondamentale, affinché gli interventi siano efficaci, promuovere tutte quelle iniziative che portano ad esempio gli asili in azienda. “Oggi con il nuovo welfare si può pensare anche a progetti condivisi tra più aziende ubicate in zone simile che possono insieme proporre politiche di welfare condivise (asili di prossimità - convenzioni di ogni genere - spazi di coworking) in modo tale da replicare i progetti di società ben più grosse”, conclude Colombo.