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29/01/2017 10:55:00

"Stalker", il settimanale di cinema di Tp24. Marco Bagarella presenta "Il ladro"

 

#2 “Il ladro” (Vor, 1997, dramma, 97’ minuti circa)

 

di Marco Bagarella – Avete presente la ‘nuova ondata’ del cinema russo? Quella che travolse, annuncio e protesi aspra della glasnost gorbaceviana, gli ultimi orpelli ideali che tenevano attaccate le identità multiple del grande universo sovietico? Se volete andar per funghi, vi lascio qui due titoli irrinunciabili: “Il mio amico Ivan Lapsin” di Aleksej German del 1982, e “Pentimento” che è di quattro anni più tardo ed è girato dalla mano santa di Tengiz Abuladze. Ma lasciando stare questi due capolavori – il primo un ritratto amaro e spietato di una piccola comunità ‘comunistica’ degli anni Trenta, il secondo apologo grottesco di un ditattore corrotto –, è di un film molto più gradito alle platee occidentali che qui voglio parlarvi.

P

er capire bene il film di Pavel Chukhraj che Tp24.it vi presenta quest’oggi, dovremmo abbandonare il territorio, pianeggiante e brullo, del cinema per sconfinare nell’inferno della vita vera.

 

Giuseppe Stalin ha impersonato, per decenni e per intere generazioni, il simbolo del sol dell’avvenire, di un socialismo che nato dal bagno di sangue della rivolta del proletariato, giungeva al mondo intero come novella di libertà e di emancipazione. Guai a noi, adesso, guardare per bene dentro a questo santino e scoprirci non solo un despota senza scrupoli – cosa che ci disse, già in tempi non sospetti, un nonno paffuto che aveva la curiosa abitudine di sbattere le scarpe sui tavoli! –, ma anche un uomo che ha sistematicamente distrutto la sua famiglia; ingannando, tradendo, abbandonando, spingendo al suicidio i suoi componenti. Il dittatore non amava il suo desco, egli adorava l’intera Russia. Pronto com’era a condividerne i frutti del lavoro, a cantare e ballare le sue melodie, a spezzare il pane ed a mescere il vino; lesto, infine, a rubarne le cose più preziose e ad allevare così una classe politica spesso complice ed avida.

 

In questo film, Toljian – il protagonista maschile, fascinoso e rude levantino – può anche essere uno dei tanti figli illeggittimi di Stalin, ma ne è di certo la figurazione dei principìi di sopravvivenza e di sopraffazione. Egli gioca le sue carte puntando sulla necessità e sul desiderio degli altri; da un lato si insinua facilmente nel tessuto permeabile delle ‘case collettive’ del secondo dopoguerra, quando quasi tutto veniva condiviso e suddiviso per sopperire alle tremende ferite rilasciate dal conflitto mondiale. Dall’altro, e sul piano puramente affettivo, approfitta della situazione familiare della bella Katia e di suo figlio Sania per costruire una ‘perfetta macchina dell’imbroglio’. Una crudele beffa che scivola inesorabilmente verso la tragedia edipica.

 

Cos’è stato allora il comunismo ortodosso? Sì, perché qualsiasi cosa sia stata quella deformazione fisiologica della ‘dittatura del proletariato’, compreso il tradimento dei Padri fondatori, oramai è fuori dall’orizzonte ottico delle nostre esistenze. Appunto, ‘è stato’. E non varranno mille disquisizioni storiografiche a farcene amputare il dolore, o diecimila considerazioni umanitarie a rafforzare la nostra allegrezza. Ciò che è morto è morto, e se non è ancora morto va semplicemente ammazzato; fosse solo per poter convivere definitivamente col nulla. Come avrà pensato Sania, alla fine della storia che ci racconta. Questo c’era nel santino, e lo dovremmo tutti guardare. Guai a noi, non farlo!

 

Potete vedere il film nel player accanto a questo articolo oppure cliccando qui.

 

Buona visione, alla prossima domenica ed al prossimo film!