Se uno, per esempio, un impiegato, l'addetto al magazzino di un'azienda, viene sorpreso dal suo datore di lavoro a comprare cocaina da uno spacciatore, magari legato ad ambienti mafiosi, per il tizio scatta il licenziamento, immediato, per giusta causa. Senza se e senza ma. Se invece è un magistrato, sorpreso a consumare cocaina, il datore di lavoro, lo Stato, come "punizione", semplicemente lo trasferisce da una stanza... alla stanza accanto. E' quanto accaduto in queste ore ad Agrigento. Dove c'è un giudice che è finito coinvolto nell'inchiesta sul giro di cocaina nella Palermo bene, e come "punizione" si è messo in ferie (ferie, avete capito bene) e ha chiesto di essere spostato ad un altro ufficio, dalla sezione penale del tribunale a quella civile.
Notizie così, pur con tutto il garantismo e la calma e il senso civico che uno ci mette, francamente, sono diventate insopportabili. La notizia del giudice cocainomane e della sua impunità fa il paio con il senso di smarrimento che ha provocato la notizia di quel tale a Torino, riconosciuto colpevole per lo stupro di una bimba, ma non condannato per prescrizione del reato, con il giudice che ha dovuto chiedere scusa, in nome di quel popolo italiano per il quale amministra la legge.
Assistiamo in questi giorni ad un dibattito surreale, nei giornali, in televisione, on line. Un dibattito che riguarda il più grande partito italiano, il Pd, che governa quasi dappertutto, alle prese con una scissione che, per quanto si può incipriare, nasce per una banale questione di poltrone e di candidature. Nulla di più. Altro che welfare, lavoratori, salari minimi, diritti. E' quello. E' umano - il potere è un fatto umano, forse il fatto umano per eccellenza - ma è quello.
Poi c'è un Paese "altro", al quale non gliene frega nulla delle scissioni del Pd, tipo, e che ha bisogno di altro. Di una giustizia giusta, per cominciare, di pari condizioni per tutti, per continuare, e di un senso della responsabilità che devono avere per primi chi ci governa o chi, come quel magistrato ricopre cariche delicate (e sempre "in nome del popolo italiano"). A questo pezzo di paese ormai è rimasto solo l'affidamento non tanto alla Madonna, quanto ad una Iena o a Barbara D'Urso, o a un Pif in vena di iracondia. Non è una gran consolazione.
Eppure si tratta, come sempre, di buon senso. Il giudice cocainomane, ad esempio. Non si chiede di buttarlo in cella, o la gogna, non ci interessa nulla, solo mettere un punto: e il punto è un'ammenda, una sospensione, una multa salata, un arretramento di carriera. Mandiamolo a fare il giudice di pace in qualche quartiere palermitano, ad esempio, facciamogli fare un anno ai servizi sociali. Ecco. E invece no: vince il principio della casta, vincono le "guarantigie". Perde ancora una volta lo Stato, la sua credibilità, perdiamo noi cittadini. Vincono coloro che seminano odio sul web come in piazza, quelli che hanno già il loro tirapugni in tasca e sono pronti ad usarlo alla prima occasione. C'è una scissione nel Paese già in atto. Ed è una scissione vera, un pezzo di italiani, stanchi, se stanno andando per i fatti loro. La chiamano la "pancia del Paese" i sociologi. Ma nessuno fa nulla per evitare che questa "pancia" malmestosa cresca, ancora, di giorno in giorno, di indignazione in indignazione.
Dateci l'esempio, il gesto di responsabilità, il buon cammino. E invece, ancora una volta, l'avete combinata grossa. E vi siete messi in ferie.
Giacomo Di Girolamo