Gianni Diecidue tracciava i suoi versi a passi di danza: movimenti fluidi e sferzanti, spogli del peso dei segni grammaticali. Come i dervisci, asceti di fede islamica, considerano la loro danza roteante espressione del divino in una realtà in cui tutto, per esserci, deve roteare al pari degli atomi o dei pianeti, così Diecidue pensa che le sue poesie turbinanti siano la chiave per leggere la medulla della sua terra, la parte intima, l’essenza di cui sineddoche non può che essere una donna: Madeleine.
In preda ad un’estenuante libido vocativa, il poeta di Castelvetrano canta l’eros - sintesi delle antinomie che costituiscono il nostro mondo - da cui quotidianamente impara a battere con i piedi della poesia i ritmi della vita, i ritmi stonati della vita.
Questa settimana leggiamo una delle tre liriche per Madeleine dalla raccolta Le antinomie (Mazzotta, 1981)
È mio il ricordo di un cielo di vetro
sopra le ansie nude delle danze,
Madeleine.
È mia la stagione che non porta
fiori alle acque polverose della Senna
ma ardori di sabbie salate.
Madeleine,
Madeleine, non toccarmi con parole luminose
che scavano solchi profondi
nel cuoio della memoria.
Madeleine, la Coupole ha il suo cielo di vetro
e le sue cocottes che bevono rhum
per barattare la sorte dell’amore.
Noi abbiamo ansie compagne delle danze
che non mutano i ritmi della vita,
Madeleine,
i ritmi stonati della vita.
MARCO MARINO