Tutti dicono Germania Germania (Sellerio editore Palermo, 2007), raccolta di 42 racconti poematici, è il “segno”, il solco terragno tracciato da un uomo - Stefano Vilardo - sui campi della terra di Sicilia. Il poeta compone la prima Spoon River italiana trascrivendo le voci degli emigrati meridionali in forma di epigrafi incise su un monumento di carta per testimoniare le esistenze precarie di un popolo vinto dalla Storia e smitizzare l’idea di un possibile “altrove” felice.
La grande proletaria si è mossa, ma non ha trovato il luogo della revanche: sopraffatta dal desiderio di sopravvivere, unico suo disperato tentativo è abbandonare il paese natio per salvare dalla fame se stessa e i figli. Nessuno, però, fugge mai da solo.
«ma spesso ci piglia/ il pensiero dei figli e della moglie lontana/ della Sicilia/ del lavoro che non abbiamo/ e il motivo di questo abbandono/ e diventiamo cattivi».
La lingua di Vilardo restituisce i battiti rotti del dramma dello spaesamento e ci offre la possibilità di confrontarci con la parola insepolta del nostro passato (o futuro?) prossimo.
Oggi per la nostra rubrica leggiamo il punto 29 da cui la raccolta prende il titolo.
Tutti dicono Germania Germania
e se ne riempiono la bocca
come fosse la manna del cielo
a me non ha portato che sfortuna
ma io sono cocciuto come un mulo
e andrò in Germania fino a quando crepo
I primi giorni tutto mi va bene
trovo lavoro casa
e guadagno che non mi posso lamentare
poi il diavolo ci mette la coda
e vado a finire in ospedale
come quella volta che mi cadde addosso
un sacco di cemento
e mi ruppi tre costole che ne risento ancora
Parlano della Germania come fosse il paradiso
come se i soldi te li regalassero
invece se non ti sfianchi di lavoro
per dieci dodici ore al giorno
a casa non manderesti che pidocchi
Ultimamente le cose mi andarono bene
e misi da parte un buon gruzzoletto
a Delia mi dissi
che il Natale mi aspetta
Me lo fece fare certo il diavolo
Ero tranquillo
ora sono nei guai
ché sopra il treno litigai con un disgraziato
e sono tutto foruncoli per lo spavento
ché il sangue mi diventò acqua
quando quello voleva spararmi
Non faccio che andare dai medici
e pago le visite di sacchetta mia
perché ho dimenticato in Germania
il grandsciai internazionale
che è come il libretto della mutua
Ho scritto ad un cugino
ché me lo faccia rilasciare dalla ditta dove lavoravo
ma ancora non ho visto niente
intanto i soldi se ne vanno come fave
MARCO MARINO