“Non c’è stata diffamazione nei confronti del giornalista Francesco La Licata e non avrà luogo nessun processo”. E’ questo in sintesi quello che ha deciso il gip del Tribunale di Trapani, Emenuele Cersosimo, nei confronti dell'emittente Telesud e del suo editore Massimo Marino.
L’emittente televisiva e nello specifico il suo editore erano stati querelati da La Licata, perché lo scorso anno nell’occasione dell’intitolazione del litorale di Alcamo ai due carabinieri uccisi nella strage della casermetta di Alcamo Marina del 1976, Marino aveva criticato l’assenza di Giuseppe Gulotta e riferendosi al libro scritto dallo stesso Gulotta con il giornalista Nicola Biondo, “Alkamar, la mia via in carcere da innocente”, si era soffermato sulle pagine in cui si riferiva che il giornalista Francesco La Licata venuto a conoscenza delle torture subite da Gulotta decideva di non pubblicare nulla "perchè in quel periodo non era facile mettersi contro l'Arma dei Carabinieri". "Un comportamento sbalorditivo, tanto più per uno dei "campioni del giornalismo impegnato", era stato il commento di Marino. Qui la nota di Massimo Marino che commenta tutta la vicenda:
"Certamente soddisfatto, ma allo stesso tempo rammaricato per un clima che ormai pervade la società e che si ritorce contro quei pochi che non si vogliono omologare all'antimafia dilagante che non accetta critiche per preservare quella "sovrastruttura sociale" che ormai è diventata. Continue querele, critiche di chissà quali interessi da tutelare a chi non è conforme al pensiero unico e "accerchiamenti" vari. Vari e pericolosi per i poteri forti, anzi fortissimi, che possono mettere in campo. Questa mattina, però, è stato decretato il non luogo a procedere per l'ennesima "aggressione" da cui Telesud si è dovuta difendere. I fatti: nel febbraio 2016 scrivevo un editoriale sull'intitolazione di un litorale ad Alcamo Marina ai due carabinieri trucidati nella strage di Alkamar nel lontano 1976 per cui fu ingiustamente condannato all'ergastolo l'allora giovane Giuseppe Gulotta dopo indicibili sevizie e torture ricevute dagli stessi Militari dell'Arma per estorcergli una confessione. Cerimonia che, come ormai da prassi, riceveva "il sigillo di garanzia" dell'associazione Antimafia per eccellenza, Libera, con Don Ciotti in prima fila. L'articolo criticava l'assenza di Gulotta e poi volgeva su alcune considerazioni personali su un libro appena edito: “ Alkamar, la mia vita in carcere da innocente”, scritto a 4 mani dallo stesso Gulotta con il giornalista Nicola Biondo. Un passaggio mi aveva particolarmente colpito: quello in cui si riferiva che il giornalista Francesco La Licata venuto a conoscenza delle torture da una qualificatissima fonte, un maresciallo dei carabinieri presente in quei giorni in caserma, decideva di non pubblicare nulla “perché in quel periodo non era facile mettersi contro l’Arma dei Carabinieri” ed in particolare contro il Colonnello Russo icona antimafia di quegli anni. Un comportamento sbalorditivo, tanto più per uno dei “campioni del giornalismo impegnato”. La scelta, sua o dell'allora direttore responsabile suo superiore poco importa, la reputavo intollerabile, tanto più per uno dell’autorevolezza di La Licata. Apriti cielo! Il giornalista, venuto a conoscenza del mio scritto, chissà come o forse con l'ausilio di qualche manina locale, visto che dubito che dalle siderali altezze della Stampa di Torino sia interessato a ciò che va in onda su una emittente trapanese, decideva di depositare un esposto querela; 150 pagine di fuoco. Estratti di verbali processuali, gravissime offese alla persona, di tutto di più. Insomma, diffamazione aggravata il capo d'imputazione denunciato. Cosi, dopo il deposito dell'avviso delle conclusioni d'indagine da parte della Procura di Trapani veniva fissata udienza davanti al Giudice per le Indagini Preliminari lo scorso febbraio che si riservava di leggere la produzione della difesa, consistente nel libro citato ma anche di una sequela di scritti durissimi nei confronti di ciò che sia diventata oggi l'antimafia a firma di altissimi magistrati, come Leonardo Guarnotta e Catello Maresca, il presidente del Senato ed ex Procuratore Capo di Palermo Pietro Grasso, giornalisti del calibro di Paolo Mieli, oltre che Lucia e Rita Borsellino detentori del copyright "sovrastruttura sociale". Tutti "in linea" col mio pensiero. Ma questa mattina nella requisitoria già un mezzo colpo di scena: lo stesso Pm Federico Panichi richiedeva il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato smontando, letteralmente, i 3 passaggi oggetto della querela con un significativo riferimento all’articolo 21 della Costituzione sulla libertà d’espressione. Richiesta cui si opponeva La Licata, costituitosi parte civile. Gli avvocati Ferruccio e Michelangelo Marino nell’arringa difensiva sottolineavano l’assoluta continenza giornalistica dell’editoriale cosi come una pronuncia della Cassazione dove gli Ermellini sanciscono che la critica possa anche essere “pungente, corrosiva ed addirittura distruttiva”. Il giudice Emanuele Cersosimo si ritirava in camera di consiglio decretando poi il non luogo a procedere. In sintesi: non si terrà alcun processo perché La Licata non è stato diffamato. Ma la nostra critica, a questo punto uso il plurale interpretando la linea editoriale dell’Emittente, non vuole essere, ancor prima che offensiva nei confronti del dottor La Licata cosi come di chiunque, distruttiva; anzi, costruttiva. E che la si finisca una volta per tutte con questi cerchi magici dell’Antimafia che non hanno proprio nulla da insegnarci cosi come purtroppo tante cronache ci hanno dato triste conferma. Ma siamo certi che anche questo appello resterà lettera morta; almeno si spera però che nell’opinione pubblica, certe querele o richieste di rinvio giudizio vengano accolte con il beneficio del dubbio. In giudizio, come spesso la giurisprudenza ci ha insegnato, la musica è tutt’altra".
Se per questa accusa di diffamazione non ci sarà luogo a procedere per Massimo Marino e la sua emittente televisiva, ce n’è un’altra, invece, che vede lo stesso editore, il direttore della Tv Rocco Giacomazzi e Luigi Todaro, rinviati a giudizio con l’accusa di aver diffamato il giornalista Rino Giacalone.
Secondo l’accusa, tra maggio e luglio del 2015 hanno diffuso la notizia che Giacalone era indagato per millantato credito e tentata estorsione ai danni dell'imprenditore Davide Durante, ex presidente della Confindustria Trapani. Ma l'indagine su Giacalone non era stata mai avviata. Già da subito c’era stata la replica del gionalista all'emittente, poi sfociata nella denuncia. Il processo contro i due giornalisti e l'editore di Telesud comincerà il prossimo 2 maggio 2017 davanti al giudice Franco Messina del tribunale di Trapani.