La Pasqua, ebraica e cristiana, designa il passaggio da uno stadio d’ombra (la schiavitù; la morte) ad un abbacinante spazio di luce (la libertà; la vita).
Sono passati quasi cinquant’anni dalla Pasqua del 1968, stagione che ha dato l’abbrivio a sommovimenti operai e studenteschi dislocati in tutt’Europa, ma anche anno dell’estrema prostrazione del popolo cecoslovacco dinanzi alla potenza sovietica.
Questi accadimenti verranno registrati a Praga dall’intellettuale siciliano Angelo Maria Ripellino sia giornalisticamente per le pagine de L’Espresso sia poeticamente nei versi di Notizie dal diluvio, silloge che assume i caratteri di diario di un anno calamitoso.
L’onnipotenza dell’orrore storico opprime la geografia fisica e sentimentale del poeta: il meraviglioso della poesia slava tanto da lui amata lascia luogo alla cronaca ferina del presente, depauperato dell’esperienza dell’utopia, del sogno della speranza. Si mette in piedi una sorta di processo alla Storia in cui Dio è principale imputato, colpevole degli irredimibili eccidi del mondo e vinto dall’ineluttabilità di un destino, superiore al suo volere, che frena quel passaggio, quella Pasqua capace di far risorgere i popoli ottenebrati.
La poesia che oggi leggiamo è tratta proprio da Notizie dal diluvio (Einaudi, 1969).
La pigrizia di Cristo che si sveglia dal sepolcro,
la sua sghemba goffaggine di orso ferito,
il suo stiracchiarsi dal sonno, e la testa
pesante come quella di un infermo,
portato a un concerto dopo mesi di letto.
I suoi occhi intrisi di nera muffa,
le braccia sottili come lunghissimi ceri.
E un giornalaio che strilla: «Mala Pasqua»,
l’albagía dei badchónim e dei gavazzieri,
che cantano la storia della sua morte,
e venditori che spacciano i suoi santini,
i chiodi e il legno della croce, e la rossa garza
che coprí le sue fístole,
e il bàlsamo e i lini.
La nausea di perdonare, di fingersi forte,
la nausea di essere Cristo,
fratello di Lazzaro.
MARCO MARINO