Pastore e porta dell'ovile
Atti 2, 42-47 / I Pietro 2, 19-25 /Giovanni 10,1-10
Fratelli e sorelle nella comune fede in Cristo Gesù, che bella testimonianza ci dà il libro degli ‘Atti’, riguardo alla prima generazione dei discepoli di Gesù: ‘erano perseveranti nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere’…………………
Il comunismo della condivisione non ha funzionato nella storia…..forse nei monasteri ….
a noi è richiesto di essere perseveranti nell’ascolto, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere……
difficile o impossibile mettere tutto in comune…….
La seconda lettura, tratta dalla prima lettera dell’apostolo Pietro, ci anticipa il tema della nostra meditazione: Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.
Erranti, pecore, pastore, guardiano… ogni termine si presta a un approfondimento comunitario.
Erranti eravamo ed erranti siamo ancora, nel doppio significato della parola, come di chi smarrisce la strada e di chi sbaglia nella sua vita. Le pecore sono erranti se non seguono la guida del loro pastore.
Ma effettivamente cessa il nostro errare per il fatto che riconosciamo in Gesù la nostra guida e lo proclamiamo pastore e guardiano della nostra anima?
Ho qualche dubbio al riguardo. Penso che non possiamo chiuderci al sicuro nel nostro ovile di cristiani, ritenerci soddisfatti della nostra fede e al riparo da ogni critica e da ogni sofferenza che procura la ricerca continua della verità, che non può mai essere posseduta nella sua completezza da alcun essere umano. Intanto possiamo vedere invece come anche le chiese cercano con i loro dogmi di imbrigliare ogni forma di ricerca alternativa, magari per trovare un linguaggio nuovo con cui spiegarci e spiegare le sacre scritture agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Il testo del vangelo di Giovanni ci presenta una doppia figura di Gesù. Egli fa le incombenze di ogni pastore, conduce il suo gregge, lo porta al pascolo, lo riporta all’ovile. Egli è il buon pastore. Le pecore lo seguono perché riconoscono la sua voce.
Una domanda si impone: noi sappiamo riconoscere la voce di Gesù?
Gesù riabilita gli stranieri, gli emarginati, la donna adultera, i lebbrosi, persino i samaritani che erano ritenuti eretici dai giudei. Si contrappone ai farisei, che pure conoscono le scritture, le citano e le osservano. Gesù privilegia il rapporto e la relazione con gi esseri umani, vuole che si amino anche i nemici. Le scritture vanno osservate col limite di essere per l’uomo e non contro l’uomo. Il comandamento centrale di tutte le scritture è l’amore, un debito che abbiamo fra di noi. Il messaggio centrale dei vangeli è che Dio ci è Padre e che ci ama.
Ma in nessuna formulazione del cosiddetto ‘credo’ si trova questo insegnamento biblico. Le chiese hanno avuto fretta a rinchiudere il campo della fede con dogmi, spesso formulati in contrapposizione ad altre comunità cristiane, dopo averne perseguitato e anche ucciso i componenti più in vista.
Oggi noi viviamo nel ventunesimo secolo, è vero che il genere umano rischia ogni giorno una catastrofe nucleare, che il terrorismo blocca energie vitali spendibili in altri modi più fecondi, ma è pur vero che si espande la conoscenza scientifica in tutti i campi dello scibile umano. Possiamo continuare a ripetere un messaggio evangelico che risuona obsoleto nel suo linguaggio e nelle credenze che sottostanno a quell’annuncio?
Per limitarci all’astronomia, per gli autori delle sacre scritture esiste solo il cielo e la terra.
La terra è la casa dell’uomo, il cielo è la dimora di Dio. Ecco allora formarsi i racconti di un collegamento terra-cielo, Gesù torna a Dio salendo su nel cielo… un discorso che l’uomo di oggi non capisce, non accetta. La realtà astronomica è molto più complessa, non c’è un posto particolare dove risiede Dio. Gesù non deve volare per unirsi al Padre….dobbiamo cercare un nuovo modo per intendere questa unione.
Questo è solo un esempio della difficoltà che trova l’uomo del nostro tempo...e noi possiamo starcene tranquilli nel nostro ovile? Cerchiamo di sentire la voce del nostro pastore, sicuramente vorrà liberarci da molte convinzioni che credevamo verità eterne e immutabili.
Vogliamo affermare la trascendenza di Dio, realtà al di sopra di ogni nostra realtà, autore della nostra vita, fonte del nostro amore, riferimento del nostro essere. Ma, piuttosto che ripetere formule sorpassate, confessiamo che ci mancano le parole per parlare di Dio: il linguaggio dei mistici è stato sempre il silenzio attonito dinanzi a Dio.
Cari fratelli e care sorelle nella comune fede in Cristo Gesù, personalmente io mi indigno a considerare pastori del gregge di Gesù elementi del clero che coltivano orgoglio e ricchezze, pretendendo anche baciamano, titoli altisonanti e dimore lussuose. Questi sono mercenari, poco gli importa del gregge di Gesù, dell’esigenza di unità che pervade la chiesa cristiana in tutte le sue confessioni particolari.
Un secondo aspetto del brano che stiamo meditando è la nuova metafora che vi troviamo: Gesù si presenta come la porta che chiude e apre l’ovile. Bisogna entrare attraverso questa porta, non si possono scavalcare le mura del recinto. Ma attraverso questa porta si può e si deve anche uscire per le strade del mondo, per annunciare e per ascoltare, per tessere relazioni feconde fra gli esseri umani, per trovare e per condividere il cibo dell’anima e della mente.
Dice Gesù: Io sono la porta, se uno entra attraverso di me sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Ho chiesto a mia moglie: cosa significa per te questa parola del Signore? Prontamente mi ha risposto: è l’augurio che ci fa il Signore, avere in abbondanza la vita e quello che porta alla vita. Mi sembra che abbia colto nel segno: Dio ci ama e vuole per noi una vita piena di soddisfazione e di realizzazioni, anche umane.
Sono venuto perché abbiate la vita piena, abbondante, gioiosa. Non solo la vita necessaria, non solo quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva; vita che rompe gli argini e tracima e feconda, vita che profuma di amore, di libertà e di coraggio.
Sappiamo che l’immagine del pastore è una metafora ripetuta nel vecchio testamento e viene riferita direttamente a Dio. Ma ora Gesù la riferisce a se stesso, egli è il legittimo pastore. E il legittimo pastore si descrive come colui che “entra dalla porta” e chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori, fuori dai recinti dell’istituzione religiosa giudaica, che, con la schiavitù dell’obbedienza della legge, rende impossibile la comunione con Dio, fuori dagli “ovili ecclesiastici” sempre più rigidi e stretti, che impediscono di vivere una fede matura e libera nel mondo.
Il termine “condurre” è lo stesso adoperato nell’Antico Testamento per indicare l’esodo. Quella di Gesù è una liberazione. Così Gesù spinge fuori tutte le sue pecore, e cammina davanti ad esse. Non un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade, sta davanti e non alle spalle. Non un uomo di paura, di routine, che vede ovunque il lupo, che predilige il chiuso dell’ovile, ma una figura piena di coraggio e di inventiva: sa che l’erba nutriente e i pascoli abbondanti sono fuori del recinto.
Egli non conosce un solo itinerario, sa che ci sono tanti possibili pascoli e li cerca, non prova sgomento e non trasmette angoscia alle pecore di fronte a paesaggi nuovi e inesplorati o di fronte a sentieri meno conosciuti. Non un pastore che rimprovera e ammonisce per farsi seguire, ma uno che precede e seduce con il suo andare, che affascina con il suo esempio: pastore di futuro.
Termino con una domanda provocatoria che deve farci riflettere: riconosciamo in Gesù la guida pastorale della nostra comunità, della nostra fede, della nostra vita?
Non dobbiamo cercare solo la quiete dell’ovile, non abbiamo paura di doverci confrontare con altri fratelli che stanno fuori del nostro ovile. Siamo tutti in ricerca della verità che ci porterà all’unione con Dio, seguendo l’esempio e le orme del nostro maestro Cristo Gesù. Amen.
Franco D'Amico - culto del 7 maggio 2017