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21/05/2017 07:32:00

Oltre i confini, oltre i colori, oltre le bandiere: "14 kilometros"

 Di una cosa “Stalker” non voleva proprio impicciarsi. La cronaca spicciola, quella quotidiana da bar, da ‘talk show’ televisivo (che, a dispetto dell’americanismo, è poco più di un ‘bar dello sport’ con una sala molto più confortevole ed ampia), e – per certi versi – dalla facile manipolazione del cinema per plasmare concetti ‘ideologici’ (nel senso brutto del termine), finora alla larga ce ne siamo tenuti. Mi pare.

 Certo è che il film di oggi non era previsto, almeno per oggi. Le carte in tavola le ha scombinate questo vento che dalle nostre marine trapanesi s’accoscia verso i vicoli delle città, abbrevia le distanze da luogo a luogo, e punge, mozzica come un cane imbastardito a sua dolente virtù. L’incredibile ‘uno-due’, palingenesi storica dei tempi – marci – in cui viviamo, che ha mandato al tappeto la regola aurea di questa mia/vostra ineffabile rubrica, prende un nome familiarissimo. Tanto poi che l’estate s’avvicina e ce lo avvicina sempre più a pelle e cuore. “Mare Nostrum”.

 A Trapani, mentre imperterriti magistrati seguivano le tracce di piscio di operatori umanitari, incoscati con i negrieri di base in Libia per alzare moneta sul traffico di esseri umani, e mentre una generale valanga di schizzi di liquami verbali, giocava a macchiare l’identità di organizzazioni private che stanno materialmente evitando un massacro pelagico, ecco che la stessa intestazione estiva saltava fuori per riparlarci di altri affari. Molto più conosciuti. Più certi. Nostrani, per dire. Rolex non olet…

 

 

Se invece si vuole seguire da vicino quello che, molto italicamente, un ex ragazzo ex disoccupato ed oggi terza carica dello Stato (o ex Stato, magari), ha definito come il tragitto dei ‘taxi del mare’, vi conviene ripiegare su due opere davvero belle"

 

 

Mentre per questa seconda faccia dovremmo attenerci allo script (epico-edipico in “La piovra” del 1984; atipico-atrofico in “Il commissario Maltese” dell’anno corrente), ispirato alla magistrale penna di Nicola Badalucco, per la prima brancoliamo nel buio cinematografico. Se non fosse per il lavoro documentale – più che documentaristico – di un Gianfranco Rosi che nel suo “Fuocoammare”, riprende e comprende Lampedusa (per come anche quell’isola non sia, territorialmente parlando trapanese, ma certi richiami alla nostra costa la storia li dà) nel gioco infernale dell’esodo del nuovo millennio, nulla avremmo a cui far aggrappare i nostri occhi. Forse la sola riflessione degna di nota è quella fatta da Emanuele Crialese in “Terraferma”, nel 2011, ma per me è un plot molto poco risolto e sviluppato. De gustibus. Alla fine, se devo davvero rispolverare fascinazioni marine e sottotesti di ‘alterità antropologica’ che fanno da fondo a questa ‘mia’ provincia, non posso che citare il solo “L’isola” della palermitana Costanza Quatriglio, fatto d’amore e di sospiro a Favignana. Un confronto/duello ‘Insula versus Drepanum’, terra contro mare, Figlio altro dal Padre, che mette i brividi e narra (più di mille ‘piazzepulite’, ‘dimartedì’, ‘porte-a-porte’ e quant’altro vogliate voi), di diversità uguali ed omogenee differenze umane. Senza un solo ‘clandestino’ all’orizzonte.

 

 

 

Insomma e a farla breve, nella nostra provincia, tra le più esposte al traffico (lecito ed illecito) con l’Africa, tra le più interessate all’accoglienza ed al business che ne consegue, tra le meno pronte a codificare meccanismi di interazione culturale (l’integrazione tra popoli non solo non esiste, ma se avviene è solo simbolo di fallimento morale), pare che la ‘marea nera’, l’invasione tanto citata dai padani che ci hanno invaso (bontà loro!) innumerevoli volte, nemmeno si ha coscienza di cosa sia. Mediaticamente parlando, ovvio.

 

 

 

 

Non molti sanno che dalla metà dell’Ottocento fino alla metà del secolo scorso, circa 250 mila italiani –moltissimi dei quali ‘clandestini’ a tutti gli effetti – sbarcarono sulle coste tunisine. I siciliani furono non meno di un terzo di quei ‘profughi del mare’, spesso costretti a scegliere l’Africa per paura della repressione del governo padano (lo so, dovevo scrivere “sabaudo”, ma così non faccio rima con sopra e mi sballa il poema) o dei pallettoni di Signora Mafia. Che con i ‘padani’ faceva spesso combutta. In moltissimi casi furono fame, voglia di futuro e disperazione nuda e cruda, a sospingere quelle imbarcazioni di pescatori – diventata zattere di speranza e di afflizione – verso l’altro lato del mare. Nostrum.

 

Anche di questo esodo, a voler parlare qui solo di immagini in movimento, non c’è traccia filmica. Per sopperire a tale assenza, e se proprio ci va di aprire questa veloce intrusione nella recente produzione internazionale, potremmo optare per un grottesco, paradossale, amarissimo lavoro del giovane regista Sylvestre Amoussou, dal titolo già esplicito: “Africa Paradis”. Film che presenta uno scenario distopico/utopico/entropico; crollato l'occidente europeo, francesi, spagnoli ed italiani tentano di sbarcare da irregolari in Africa per sopravvivere (fanno i lavori in nero, anzi, in bianco; manovali, servitù domestica, stagionali); curiose le figure dei 'leghisti subsahariani' (a tipo un Matteo Salvini nato a Conakry!) che si oppongono all'invasione - evidentemente portano malvivenza e la sifilide - degli europei.

Se invece si vuole seguire da vicino quello che, molto italicamente, un ex ragazzo ex disoccupato ed oggi terza carica dello Stato (o ex Stato, magari), ha definito come il tragitto dei ‘taxi del mare’, vi conviene ripiegare su due opere davvero belle. Non capolavori, ma film che vi terranno incollati allo schermo. Uno è “Atlantic”, del belga-marocchino Jan Willem van Ewijk – un pescatore africano impara il surf, per superare su una tavola a vela la distanza mediterranea – e l’altro è – appunto – “Mediterranea” dell’italoamericano Jonas Carpignano – le avventure e le disavventure di due migranti che giungono in Italia per ben vivere, e scoprono che spesso c’è solo esclusione e violenza –.

 

 

 

Questa domenica, i potenti mezzi di Tp24.it vi propongono la visione di un’opera intermedia sul tema; “14 Kilòmetros”, di Gerardo Olivares. Un film che parte come storia di villaggio, diventa eroica attraversata, cambia in opera di confine e poi, si chiude aprendosi, in episodio umanissimo di fratellanza. Oltre i colori, oltre le divise, oltre le frontiere, oltre la bandiere. Oltre il come la pensiate voi, signori lettori e signori spettatori, sul bruciante passo della nostra storia.

 

Ultima cosa, a proposito di ‘oltre’. Oltre al link del film, metto sul piatto della bilancia anche il video della canzone “Apriti cielo” di messer Mannarino; oltre al fatto che è bella, pare fare il paio con il finale del film. Occhi che non guardano ed occhi che guardano. Oltre.

 

Buona visione, alla prossima domenica ed al prossimo film!

 

 

 

Marco Bagarella

 

 

Il link di “14 Kilòmetros”:

http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-5fcf2e0c-bac9-40c9-935b-6a8647cf0094.html

 

Il link di “Apriti cielo”:

https://www.youtube.com/watch?v=X6G6UpDgGxk