Io ci scherzo sempre su, con gli amici miei giornalisti del resto d'Italia. Quelli umbri, per esempio, o di qualche nordica valle, o di Isernia, Cuneo. Quando racconto quello che succede qui, dalle nostre parti, in questo pezzo di Sicilia, mi guardano con gli occhi "sbarrachiati". E io dico loro: fare il giornalista in Sicilia è una gran fortuna, accadono un miliardo di cose da raccontare. Ogni giorno diamo all'Italia una notizia da prima pagina. Voi, invece, vi annoiate. Che cacchio avete da raccontare, a Isernia, oppure a Biella?
Già, che fortuna. Magari troppa, però. Perchè piace il vento in chiesa, ma qua il sagrestano non solo si è preso il raffreddore, ha avuto anche troppe ricadute.
Questa campagna elettorale, ad esempio, è una Via Crucis. Prima i guai giudiziari dei candidati a Trapani, adesso lo scioglimento per mafia a Castelvetrano ad una manciata di giorni dal voto.
Io però penso una cosa. E la devo dire, questa cosa qui. Anzi non la penso, la pensa Agata Christie, che fa dire a Poirot, il suo più celebre investigatore: tre indizi fanno una prova. E noi abbiamo tre indizi, e indizi gravi: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Ecco, la citazione esatta.
Il primo indizio è la vicenda che riguarda Antonio D'Alì. Il senatore e candidato Sindaco a Trapani è stato raggiunto da una richiesta di sorveglianza speciale il giorno stesso in cui ha presentato le sue liste per le elezioni dell'11 Giugno. Su questa vicenda ho già detto quello che penso: una coincidenza che era evitabilissima, si poteva anticipare o posticipare la richiesta, basata tra l'altra su fatti ormai stranoti.
Il secondo indizio è l'arresto di Mimmo Fazio. Vicenda complessa, e terribile, questa maxi inchiesta sulla corruzione a Trapani. Ma anche lì: non c'era modo di evitare ad un candidato Sindaco la gogna dell'arresto in piena campagna elettorale? Preso atto della tesi dell'accusa, e cioè che Fazio era a completa disposizione dei Morace, la Procura di Palermo non poteva, proprio in vista delle elezioni, evitare che l'operazione si chiudesse in pieno Maggio? La risposta è: si. Poteva. Perchè la giustizia ha i suoi tempi, come dice il Procuratore Lo Voi, e a volte coincidono con i tempi della politica, è vero. Ma anche gli uomini hanno i loro tempi. Anzi, c'è di più: è l'uomo che ha inventato il concetto di tempo, e allora, si, nel caso di Fazio, come nel caso di D'Alì, bastava un po' di buon senso. Anche l'arresto: davvero non si poteva da subito emettere un divieto di dimora a Palermo? Lo scandalo sarebbe stato uguale, idem la decadenza all'Ars, non ci sarebbe stato il pericolo di inquinamento delle prove - Morace è comunque in carcere - le indagini e le perquisizioni potevano continuare comunque. No?
E infine, Castelvetrano. Il terzo indizio che fa la prova. Fra tutti gli atti della legislazione "antimafia", lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose da parte del Consiglio dei Ministri è il più delicato. Perchè solo apparentemente è un atto amministrativo, che tira in ballo prefetti e commissari, atti di ispezione e relazioni. In realtà è un atto politico, che fa appunto il Governo. Anche in quel caso, i tempi della pubblica amministrazione, come i tempi della politica, e i tempi della giustizia sono, innanzitutto, tempi umani. A Roma pure l'ultimo dei passacarte sapeva che domenica si sarebbe votato anche a Castelvetrano. C'era proprio bisogno di sciogliere il Comune prima alla vigilia del voto? Ma che presa in giro è? Guardate che secondo me qui siamo non solo nel campo del politico, ma ancora prima, nel campo dell'antropologico. E mi spiego meglio: una scelta di buon senso sarebbe stata quella di prorogare l'ispezione dei commissari a Castelvetrano, di affiancarli anzi alla nuova amministrazione, e di vedere se questa, nei primi sei mesi dal suo insediamento, fosse stata in grado di produrre sostanziali atti in termini di bonifica, di trasparenza e legalità. Non si è voluto fare, si è proceduto con la capitolazione di Castelvetrano, per dare una testa (in questo caso la testa di una comunità) in pasto al coro del pubblico antimafia (lo stesso che vuole la pena di morte per Riina, Napolitano processato per alto tradimento, Messina Denaro a spasso per Marsala...). Il messaggio che passa non è politico, dicevo, è antropologico, razzista: non siete in grado di cambiare, e anche se state cambiando, cambierete comunque in peggio. Dunque, vi mandiamo i commissari. E amen.
Spendo ancora due parole su Castelvetrano, per dire un'altra cosa che mi sta a cuore: Castelvetrano è città di mafia, ovvio, ma anche città di antimafia. Pure troppa. Nel senso che, a differenza di altre città, a Castelvetrano si vive l'ossessione dell'antimafia, il dover dimostrare ad ogni costo da che parte si è. E' una città che vive con uno stress enorme, sempre sull'orlo dell'esaurimento nervoso. Il buon Felice Errante, l'ultimo Sindaco di Castelvetrano, ha governato non con l'intenzione di attuare il suo programma elettorale, ma con il dubbio costante, quotidiano, se ogni minimo atto della sua amministrazione potesse essere letto in chiave pro o anti mafia. E così farà tra un anno e mezzo, se Dio vuole, il prossimo Sindaco di Castelvetrano. Non dovrà essere un Sindaco bravo, dovrà essere un Sindaco "antimafia"....
Tre indizi, dicevo. Che fanno una prova. E la prova qual è: una certa sciatteria istituzionale. O una regia esterna che vuole scegliere per noi. Io non trovo espressione migliore da utilizzare che questa: la maledizione del Commissario Maltese. Come il protagonista dell'ultima bislacca serie su Rai Uno ambientata a Trapani. Siamo set da fiction, da opera dei pupi dell'antimafia, e questo dobbiamo rimanere.
E' una cosa amara, perché non fa notizia - noi, al mondo, fuori dai fatti di mafia, non interessiamo mica - e so già che minerò ulteriormente la mia popolarità con le cose che scritto (ma, Dio mio, cos'è giornalismo se non l'assuzione di responsabilità, nel raccontare i fatti, nell'esprimere giudizi...?). Ma lo dobbiamo dire. Noi, siciliani d'occidente, siamo cittadini a libertà vigilata. Siamo passati dal dominio della mafia, che ha fatto violenta razzia di uomini, idee, risorse, a qualcosa di diverso. Liberati dalla mafia, da questa Cosa nostra ormai ridotta agli sgoccioli, siamo incappati dentro le maglie di un nuovo potere, una ragnatela zuccherosa che ci imbriglia. E' un potere diverso, grigio. Una specie di club, che per noi decide, indica, determina. Che usa anche le leve dell'antimafia per regolare i suoi rapporti di forza. Io so cos'è. E' quello che cantava Giorgio Gaber. E' il potere dei più buoni. Il potere dei più buoni. Il potere dei più buoni...
Giacomo Di Girolamo