28 Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto che egli aveva risposto bene, si avvicinò e gli domandò: «Qual è il più importante di tutti i comandamenti?» 29 Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore. 30 Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua". 31 Il secondo è questo: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Non c'è nessun altro comandamento maggiore di questi». 32 Lo scriba gli disse: «Bene, Maestro! Tu hai detto secondo verità, che vi è un solo Dio e che all'infuori di lui non ce n'è alcun altro; 33 e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l'intelletto, con tutta la forza, e amare il prossimo come se stesso, è molto più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Gesù, vedendo che aveva risposto con intelligenza, gli disse: «Tu non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno osava più interrogarlo. (Mc 12, 28-34)
Fratelli e sorelle,
quello che abbiamo ascoltato è un brano di soli sei versetti, ma sono sei versetti che agli occhi delle e dei cristiani, hanno rappresentato e ancora oggi rappresentano molto, lo sappiamo. Da sempre questo passo dell'evangelo viene visto da tanti come la "summa" della nostra fede. E io credo che anche questa chiave di lettura sia vera e legittima.
Ora però vorrei provare con voi a prendere una strada diversa: proviamo a non soffermare subito la nostra attenzione solo sulle parole di Gesù. Spostiamo invece il nostro sguardo e partiamo da una prospettiva diversa, la prospettiva dello scriba. Chi è costui che arriva e porge una domanda del genere? Nella narrazione di Marco, come interagisce con Gesù? Che tipo di dialogo ha con Lui?
Abbiamo letto che lo scriba "li aveva sentiti discutere", ma chi aveva sentito? Se andiamo qualche versetto indietro, capiamo che erano Gesù e i sadducei, uno dei "partiti", delle "fazioni" del giudaismo dell'epoca. Discutono della resurrezione dei morti, e Gesù non esita a dirgli, in conclusione del suo discorso, "Voi errate di molto" (12:27). D'altronde tutta questa parte dell'evangelo di Marco è dedicata alle discussioni con le autorità religiose, e mediamente sono tutte discussioni, come dire, non proprio serenissime, tutt'altro... Se poi andassimo ancora un po' più indietro, al cap 11, leggeremmo che, dopo la cacciata dei mercanti del tempio da parte di Gesù: "I capi dei sacerdoti e gli scribi udirono queste cose e cercavano il modo di farlo morire" (11:18) e di nuovo, al cap 12 "essi cercavano di prenderlo" (12:1a).
Dunque lo scriba che si avvicina adesso a Gesù per interrogarlo è tra coloro che già lo avevano condannato a morte? Così non sembra, l'evangelista ci dice che lui si avvicina perché aveva visto che Gesù rispondeva bene ai sadducei. Insomma, era d'accordo con lui. E cosa chiede questo scriba a Gesù? Sta forse provando anche lui a ingannare Gesù per farlo cadere in fallo? No, gli chiede semplicemente qual è il primo, il più importante dei comandamenti. La sua non sembra una domanda ipocrita, è una domanda assolutamente credibile, soprattutto se posta da uno scriba.
Tutti i giudei allora avevano una grande, immane quantità di norme per regolamentare nella pratica l'osservanza della Legge. Alcuni dicevano tutte le norme avevano tutte lo stesso valore, poiché vengono da Dio, altri sostenevano invece che alcune leggi sono più importanti di altre e, per questo, obbligano di più. Anche se lui per primo è un buon conoscitore della legge, lo scriba si avvicina a Gesù e gli pone questa domanda, sembrerebbe -ripeto- non per metterlo alla prova, bensì per apprendere da lui.
La risposta di Gesù questa volta non è affatto polemica, anzi, se vogliamo è anche molto "tradizionale", poiché riprende due comandamenti già presenti nelle Scritture: il primo è "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore. Ama dunque il Signore Dio tuo ...". E' un passo che troviamo nel libro del Deuteronomio (11:13), ed è parte del cosiddetto "Shema Israel", che per i giudei di allora, ma anche per i credenti ebrei oggi, è una sorta di "confessione di fede" di tutto il popolo d'Israele, una preghiera da ripetere due volte al giorno. E anche il cosiddetto secondo comandamento è una citazione, questa volta da Levitico (19:18): "Ama il prossimo tuo come te stesso".
Gesù quindi in fondo non dice assolutamente "niente di nuovo"... Anche se c'è un dettaglio, un che di "originale" in questa risposta di Gesù allo scriba: è l'immediata associazione tra l'amore per Dio e quello per il prossimo.
Ma torniamo ora al nostro scriba: qual è la sua reazione a queste parole di Gesù? Di nuovo, sembra approvare in toto ciò che gli ha risposto, al punto che adesso lo appella addirittura come "maestro", cosa che prima non aveva fatto. E ancora, come uno studente un po' secchione, ripete quasi per filo e per segno ciò che ha detto il maestro, aggiungendo però alla fine che l'amore per Dio e il prossimo "è molto di più di tutti gli olocausti e di tutti i sacrifici"; anche questa è una citazione delle Scritture e, inserita in quel contesto, è assolutamente in linea con ciò che predicava Gesù. Quindi questo scriba, che rimane sempre anonimo, che compare per un attimo per poi non lasciare più alcuna traccia di sé, questo scriba ha compreso più di ogni altro, più degli apostoli stessi, il Regno di Dio annunciato da Cristo? Sembrerebbe di sì, questo scriba "ha risposto con intelligenza" secondo lo stesso Gesù.
Ma, se ci soffermiamo sulle ultime parole del Cristo, siamo proprio sicuri che ciò che gli risponde sia davvero del tutto positivo? Egli gli dice infatti: "Tu non sei lontano dal regno di Dio", non gli dice: "sei vicino" ma "non sei lontano", che non è proprio la stessa cosa... E ancora, l'evangelista chiude il brano con la frase "Nessuno osava più interrogarlo". Dunque neanche il nostro scriba interrogherà più Gesù. Egli è evidentemente soddisfatto della risposta che ha ottenuto e va via, prosegue per la sua strada... Egli, come abbiamo visto, non sembra volere la morte di Gesù come altri suoi "colleghi" e anzi, si rivolge a lui con il rispetto dovuto a un "rabbì", a un maestro. Ma è davvero tanto diverso dai suoi colleghi scriba, se poi, una volta ottenuta la risposta, sparisce di nuovo dalla vista di Gesù, se non lo segue? E' qui che, secondo la mia modesta opinione, interviene la sottile ironia di questo testo: in fondo cosa ha fatto lo scriba? E soprattutto che cosa non ha fatto? Non ha accolto l'invito a far parte del Regno. La sua era soltanto una domanda teorica, un'opinione scolastica, teologica. Per lo scriba Gesù è un esperto da consultare per un problema "tecnico", ma non una guida da seguire. In fondo ha semplicemente sostituito le centinaia di comandamenti che già conosceva con due, anzi uno solo, di quei comandamenti. Che, detto scherzando, è anche un gran bel risparmio di energie, soprattutto per la memoria...
Ma a tutti gli scriba, a tutti i sapienti e a tutti i "dottori della legge" di ogni paese e ogni epoca, sfugge che comprendere "con intelligenza" i comandamenti delle Scritture non è condizione sufficiente per amare Dio e il prossimo; e quindi, in definitiva, non è neanche condizione sufficiente proprio per "rispettare" il primo dei comandamenti, quello dell'amore. La stessa espressione "comandamento dell'amore" d'altronde è un ossimoro, una frase che usa due parole in tensione tra loro. Infatti, chi può davvero amare qualcuno se questo amore gli è stato solo "comandato", imposto, se non è stato vissuto nel proprio cuore e poi scelto?
L'unico amore di cui questi "sapienti" sembrano capaci è invece quello per la conoscenza, una conoscenza che pretendono di possedere e che, guarda caso, li pone al di sopra degli "altri".
Ma la conoscenza "delle leggi" (inteso in senso molto ampio) e l'amore sono due cose diverse, anche se non per forza in conflitto. Però, se anche amiamo profondamente una persona a noi vicina, non significa che conosciamo tutto di questa persona. Ancor di più, molto di più, amare Dio non vuol dire conoscere Dio. Forse è qui la differenza, lo scarto tra l'essere "non lontani" e l'essere davvero "vicini" al Regno.
Il nostro scriba ha fatto tutto bene: si è posto con apertura all'ascolto di Gesù, ha fatto le domande giuste e ha dato le risposte giuste, ma non ha pensato neanche per un attimo di fare ciò che Cristo chiede davvero di fare: ripensare tutta la propria esistenza alla luce dell'amore di Dio, dell'amore annunciato dall'evangelo di Cristo.
Alla fine, pur con tutti quei "complimenti" reciproci, lo scriba e Gesù hanno parlato due lingue diverse: il primo la lingua della conoscenza e della Legge, Gesù quella dell'amore. D'altronde l'apostolo Paolo ha scritto pagine meravigliose su questo conflitto...
Ma a tutti gli scribi che credono di aver conosciuto i comandamenti di Dio, che credono di aver ottenuto delle "risposte giuste" da Lui; a costoro -e un po' anche a noi ovviamente- possiamo, anzi dobbiamo, provare a far risuonare nelle orecchie ciò che abbiamo sentito poco fa, nella lettura tratta dalla prima epistola di Giovanni... E, perdonatemi l'inciso, queste sarebbero anche delle parole da far risuonare nelle orecchie sia di tutti quei criminali, presunti conoscitori di testi sacri, che seminano morte e terrore in nome di Dio, sia nelle orecchie di tutti quei figuri di casa nostra che, pur avendo precise responsabilità politiche e sociali, reagiscono ai problemi che l'emigrazione nel nostro paese comporta fomentando la paura, a volte osando pure associare la parola "cristianesimo" alle loro scempiaggini... A tutti costoro l'evangelo di Cristo dice, anzi grida:
"Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore." (1 Giov 4:8). Amen
Pier Giovanni Vivarelli - culto del 9 luglio 2017