«Per un breve istante io ti ho abbandonata, ma con immensa compassione io ti raccoglierò. In un eccesso d'ira, ti ho per un momento nascosto la mia faccia, ma con un amore eterno io avrò pietà di te», dice il SIGNORE, il tuo Redentore. «Avverrà per me come delle acque di Noè; poiché, come giurai che le acque di Noè non si sarebbero più sparse sopra la terra, così io giuro di non irritarmi più contro di te, di non minacciarti più. Anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi, l'amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso», dice il SIGNORE, che ha pietà di te. (Is 54, 7-10)
Fratelli e sorelle mie,
proviamo - quasi per gioco - ad estrarre solo alcune delle frasi contenute nella lettura odierna...
"Per un breve istante io ti ho abbandonata... In un eccesso d'ira... io giuro di non irritarmi più contro di te, di non minacciarti più... Anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi, l'amore mio non si allontanerà da te..."
Prese così (cosa che - sia chiaro - non andrebbe mai fatta a cuor leggero con la Parola di Dio), queste singole frasi o espressioni, estrapolate dal contesto, non potrebbero ricordare le parole di un marito tradito alla di lui moglie? Una cosa simile a qualche dialogo di una commedia all'italiana degli anni '70 o '80, di quelle cosiddette di "serie B"; provate ad immaginarle in bocca al vostro conterraneo Lando Buzzanca, per esempio...
Potrebbe sembrare la scena tra una moglie un po' troppo "allegra", infedele, e un marito un po' succube che, seppur tradito e "ferito nell'onore", decide infine di far tornare a casa l'amata, quasi chiedendo a sua volta scusa per la sua reazione esagerata, addirittura violenta, almeno verbalmente... Giuro di non irritarmi più contro di te, di non minacciarti più.
Ora, la pericope di oggi parte già "in media res", dal versetto 7, ed è un discorso diretto, in prima persona, di Dio stesso. Però, se diamo un'occhiata ai versetti precedenti del capitolo ci rendiamo conto da dove arrivi la declinazione al femminile della parola "abbandonata": il Signore infatti si sta rivolgendo ad una donna, ma non a una donna qualsiasi, bensì alla sua sposa; una sposa sterile, una vedova e/o una donna ripudiata, il profeta allude a entrambe le cose. Dietro a questa metafora matrimoniale si nasconde Israele. Non è l'unica occasione in cui gli autori veterotestamentari usano questa metafora, basta anche andare indietro di qualche capitolo all'interno dello stesso Deutero o Secondo Isaia che dir si voglia, al cap 50. In quel caso si parla anche di una "lettera di divorzio" con cui lo sposo-Dio ripudia la sposa-Israele. E il "contratto matrimoniale" di cui si parla, al cap 50 come nel nostro, cos'è se non il Patto (quello con la P maiuscola), l'Alleanza tra Dio e il suo popolo? Questo Patto, questo "contratto" è stato disatteso da una moglie-nazione infedele: ormai la relazione di fiducia tra i coniugi è spezzata, sembra per sempre...
Ora però usciamo dalla "commedia all'italiana" di cui sopra e poniamo attenzione ad altri elementi: la lettura odierna ci parla dell'umanità di Dio, di un Dio che in un "eccesso d'ira" - forse sarebbe meglio dire in un "accesso d'ira" - abbandona la sua sposa-Israele, seppur per un breve istante. Allo stesso modo, "per un momento", Egli "nasconde il suo volto", splendida espressione metaforica che ritroviamo più e più volte nei Salmi, e che sottintende anche e soprattutto un giudizio, un giudizio divino di condanna. Ma che cosa significa davvero essere abbandonati da Dio, cosa significa se Egli, il nostro Creatore, ci nasconde il suo volto, anche se solo per un breve istante?
Credo che tutte e tutti noi conosciamo quel giochino che si fa con i bambini molto piccoli, quello in cui, avvicinandoci al pupo, ci copriamo il viso con le mani "a tendina", per poi aprirle all'improvviso. Ebbene, un po' di anni fa, lstavo facendo questo giochino con la mia bellissima nipotina, ma, con ogni probabilità, nascosi per un tempo troppo lungo il viso, e il risultato fu che, invece di sorridere sorpresa, mia nipote scoppiò a piangere disperata. Si era sentita abbandonata...
In modo simile, la nostra sposa è sola e abbandonata, in balia del proprio tragico destino, anche perché è consapevole che lo sposo che l'ha ripudiata non potrà mai e poi mai riprenderla con sé. La legge deuteronomica proibiva infatti che una sposa ripudiata potesse essere ripresa con sé se nel frattempo aveva sposato un altro uomo, e Israele aveva senz'altro avuto senza altri "sposi". La profonda disperazione che anima la sposa le deriva quindi dalla assoluta certezza di essere stata abbandonata per sempre, in eterno...
Ma se così non fosse? Il suo sposo infatti non è un uomo, anche se in alcune sue azioni rivela una sorta di "divina umanità". Egli, il suo Sposo, anche se per un breve istante l'ha abbandonata, è capace di "immensa compassione". Se anche "per un momento" ha nascosto il suo volto, se anche si irrita ed arriva a minacciarla, è altresì capace di pietà e di un "amore eterno".
Così come eterno è il nuovo Patto che il Signore sancisce. Un Patto, che, almeno metaforicamente, è capace addirittura di superare la legge deuteronomica, la Legge stabilita dallo stesso Dio...
Nel manoscritto più antico a noi giunto del libro di Isaia, all'inizio del versetto 9, invece di "Avverrà per me come delle acque di Noè" troviamo "Avverrà per me come ai giorni di Noè". Questo dettaglio pone ancor più in evidenza una differenza qualitativa, una differenza "giuridica" tra il Patto di allora e il Patto di cui ci sta invece parlando il profeta ora. Nel caso del patto stipulato dopo il diluvio si trattava infatti di un "contratto unilaterale", di "un'iniziativa" del solo Signore: Dio, il Creatore, fece allora una promessa all'umanità tutta. Ugualmente, anche nel caso di Abramo si può parlare di una promessa unilaterale. Ma non sarà più così dopo la liberazione del suo popolo eletto dall'Egitto. Il patto sancito sul Sinai è diverso, esso è quasi un contratto tra due "persone giuridiche", proprio come il matrimonio per il nostro stato civile. L'Alleanza di Mosè è un impegno "bilaterale", tra Dio e il suo popolo. Il tradimento di cui si è macchiata la sposa-Israele dunque non è una banale "scappatella", è qualcosa di ben più grave.
Eppure, di nuovo, nonostante tutto, il Signore ha pietà di lei, d'Israele. Gli giura amore eterno, giura una fedeltà capace di resistere agli spostamenti di montagne e colline. E, di nuovo, anche per questo giuramento non chiede nulla in cambio, non chiede il rispetto di una nuova Legge.
Ma allora, se il Dio di cui ci parla la Scrittura ha un "volto umano", se è capace d'ira e di sfiducia, se non è un motore immobile, indifferente e "super partes", possiamo forse essere sicuri che tutta la compassione che ci rivolge siano per Lui "cosa da poco"? Cosa e quanto costa a Dio questo ennesimo perdono proprio per il Suo Israele, il popolo che Lui stesso aveva scelto come Sua sposa? Lo potremmo davvero paragonare al dolore di un marito tradito? Fino ad un certo punto...
Tornando alla nostra sposa, durante la stesura di questo sermone mi sono accorto di un piccolo, quasi inconscio, fraintendimento in cui possiamo incorrere quando pensiamo a questa metafora matrimoniale usata nelle Scritture: si tratta, se vogliamo, anche di una piccola difficoltà "cognitiva" nell'associazione di idee tra la parola "sposa" (singolare) e la parola "Israele" (singolare collettivo). Soprattutto se ci soffermiamo solo sulla prima parola, "sposa", quasi senza accorgercene ci possiamo ritrovare a pensare a un matrimonio monogamico tra due persone: un marito e una moglie. Basta pensarci solo un attimo e ci rendiamo che non è questo il nostro caso, poiché se lo sposo è Dio, la sposa è Israele, una nazione. La sposa non è propriamente Israele, è il popolo d'Israele, che è cosa ben diversa... E' una collettività di persone, una comunità...
E sicuramente è più collettivista di noi, figli della "cultura occidentale", anche il profeta Isaia che ci parla, sotto le mentite spoglie di una sposa, di una nazione intera, del "popolo di Dio". Un popolo che, nell'esilio babilonese, vive sentimenti di solitudine, abbandono, disperazione e colpa. E in fondo, mai come oggi, anche a noi tutti e tutte basta solo mettere il naso fuori dalle nostre case per vedere, nelle nostre strade, gli stessi sentimenti di tante "nazioni in esilio"...
Ma, nell'esilio babilonese così come nell'esilio di chiunque si senta abbandonato da Dio, il Signore fa vedere di nuovo il suo volto amorevole.
Ma a tutti noi qui presenti, noi chiesa di Cristo, il volto amorevole di Dio si è rivelato una volta per tutte nella vita, nella morte in croce e ancor più nella resurrezione del Suo Figlio Unigenito. E noi, ome comunità, siamo chiamati dalla Parola a non disperare se talvolta non riusciamo più a vedere il volto di Dio. Una chiesa... la Chiesa è sposa di Cristo. Possiamo solo pregare insieme il nostro Signore perché ci dia la forza di essere una sposa il meno infedele possibile...
Per chiudere, vorrei invitare tutti e tutte voi, fratelli e sorelle in Cristo, ad aprire le vostre bibbie e a leggere i meravigliosi versetti 38 e 39 dell'ottavo capitolo dell'epistola ai Romani. Leggiamoli tutti insieme, come nostra confessione di fede, ma ancor più in questo caso come un vero e proprio "giuramento di fedeltà". Come le parole che una sposa direbbe al suo sposo nel giorno del loro matrimonio...
"Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore." Amen
Pier Giovanni Vivarelli - culto del 16 luglio 2017