Ho incontrato due poeti, in carne e ossa, parole e potenza. Maturi di anni e di esperienza. Uno magro, asciutto, frasi secche, taglienti, la barba brizzolata sul volto di montanaro; l’altro alto, possente, l’ampia faccia paziente, parole decise. Privi totalmente di fronzoli nel linguaggio, rovesciano addosso a noi , venuti ad incontrarli, la loro passione per la lingua italiana, la loro dura lotta con la vita, un corpo a corpo continuo.
Siamo nella sala di rappresentanza del Comune di Marsala, nella piazza del Carmine. Hanno organizzato un incontro con due poeti italiani non-italiani. Il montanaro è un albanese in esilio qui in Italia, un esilio come scelta di vita. Si chiama Gezim Hajdari. “ Ho contribuito al crollo della dittatura albanese / e alla ricostruzione democratica della patria, / perché aspiravo alla libertà e alla bellezza, ma vincitrice/ è stata la nomenklatura di ieri, macchiata di sangue e crimini di Stato./ E’ per questo che sono in esilio, amici miei.” Questa è la prima strofe del suo Poema dell’esilio. Tutto il poema è un susseguirsi di strofe di cinque lunghi versi e nell’ultimo sempre la parola “esilio”, oltre trecento strofe. L’altro poeta legge alcuni versi anche nella sua lingua natale, e allora la voce diviene quasi un canto. Si chiama Ndjock Ngana ed è originario del Camerun. “ La diversità è naturale,/ la diversità è normale, / la diversità è necessaria. / Chi disdegna la diversità / è un malato da curare. / Le dita della mano sono tutte diverse,/ ma tutte utili in modo similare./ Impariamo guardando la mano / a convivere con la diversità.” Questa poesia porta questo titolo: “ Mia nonna sapeva” .
In questo pomeriggio di ottobre la sala che ci accoglie è piena, Due terzi siamo indigeni cioè marsalesi, ci conosciamo quasi tutti tra di noi, Gli altri sono giovani migranti ospiti della nostra città, provenienti dall’Africa. L’ organizzatrice dell’incontro è una nostra concittadina, studiosa di poesia di migranti che scrivono anche in italiano, Matilde Sciarrino. Seduta fra i due poeti dirige la conversazione. Accanto a Ndjock Ngana siede l’ assessore Clara Ruggeri, che introduce esprimendo il profondo gradimento della Amministrazione comunale per questa occasione di confronto con un linguaggio poetico che nasce da esperienze così diverse.
L’incontro ci ha offerto l’ascolto di numerose poesie dei due poeti accompagnate dal racconto delle occasioni che le hanno generate. Conoscere come è nata una poesia ( come una musica o un dipinto) aiuta molto a percepirne la vibrazione profonda. Ma abbiamo aperto con una accesa discussione sul termine “integrazione” . I due poeti sono d’accordo nel sostenere che è una parola usata in maniera ambigua, vorrebbe esprimere una disponibilità all’accoglienza del diverso ed è, invece, mortifera, in quanto auspica la morte della identità e della esperienza della persona venuta da lontano, da altre culture. La parola da usare è “interazione”. E io che ascolto e ho insegnato per quasi quaranta anni lingua italiana dico tra di me “ mi stanno dando una bella lezione. Sì, siamo, noi indigeni, veramente superficiali nell’uso delle parole. Io l’ho usata credendo di essere accogliente e invece ero aggressivo. Ma loro che da più di trent’anni combattono con questa lingua, che non era la loro e se ne sono impadroniti, loro sì che sono attentissimi “. E l’incontro si conclude con un giovane africano che interviene e chiede, in francese e con Ngana che traduce, “ ma volete spiegarmi che significa “immigrato?”
Giovanni Lombardo