È uscita tre settimane fa la traduzione italiana dell’ultimo testo di Amoz Oz, significativamente ed ironicamente intitolato “Cari fanatici”. Si tratta di una raccolta di tre brevi saggi, il primo dei quali dà il titolo al libro e contiene le riflessioni su cui, quest’oggi, vorrei soffermarmi insieme con le lettrici ed i lettori.
Nel suo argomentare lucido e accattivante, Amos Oz mette in luce tre caratteristiche che contraddistinguono il fanatismo nelle sue molteplici forme. Il primo tratto saliente è rappresentato dalla propensione integralista al dogmatismo: il linguaggio dei fanatici è assertivo, alieno da ogni problematizzazione ed estraneo alla fecondità dell’interrogazione e del dubbio. Il fanatico afferma e crede ciecamente in ciò che afferma: a suffragio delle sue tesi non stanno argomenti, ma tautologie, che egli presenta come indiscutibili verità. Il contraddittorio non fa parte del suo - ristrettissimo - universo concettuale: non ha nulla da apprendere, il fanatico: ha soltanto da insegnare e, quel che è peggio, da redimere.
Di qui il secondo tratto distintivo del fanatico: entro l’orizzonte asfittico dell’integralista, l’altro non figura in alcun modo, anzi, viene del tutto misconosciuto nella sua radicale alterità, unico elemento in grado di destabilizzare un quadro di presunte e presuntuose certezze. L’altro esiste esclusivamente come possibilità dell’assimilazione a sé, non soltanto auspicata, ma perseguita con ogni mezzo.
Infine, il fanatico è un soggetto del tutto privo di immaginazione creativa, poiché egli è assolutamente incapace di concepire un orizzonte di sensibilità e di comprensione di quell’abisso che chiamiamo realtà che si configuri come differente dal proprio. Per il fondamentalista, la fantasia è il primo elemento da condannare e da reprimere: dove se ne presenti anche soltanto il barlume, esso va immediatamente oscurato.
Amos Oz amplia notevolmente ed opportunamente l’accezione del termine fanatico: io, un po’ per deformazione professionale, un po’ per limitata competenza, vorrei restringere il campo d’indagine e di riflessione al fanatismo religioso, segnatamente a quello di cui meno si fa menzione, che è il fanatismo cristiano di matrice prettamente evangelicale. In seno al multiforme universo evangelico o sedicente tale, si tratta del fenomeno che più di ogni altro miete consensi, in un’ascesa tanto innegabile quanto preoccupante. Il mondo del fanatico è una tavolozza priva di sfumature, un quadro in bianco e nero, con molto più nero che bianco: del messaggio scomodo e provocatore del profeta di Nazareth, delle sollecitazioni etiche e dell’equità sociale che lo caratterizzano, non rimane alcunché. Tutto ciò che resta è un contenuto alienante, incentrato su una salvezza esclusivamente individuale, dai toni stucchevolmente moralisti e pedantemente giudicanti.
L’unico antidoto al proliferare del fanatismo è l’educazione ad una lettura critica della realtà e di una fede che dagli interrogativi di tale realtà intende lasciarsi attraversare e trasformare. Certo, è un compito arduo, probabilmente improbo. Per quel che mi concerne, cerco di prodigarmici, attenendomi all’adagio dell’amato Beckett: “Provaci ancora. Fallisci meglio”.
Alessandro Esposito (pastore valdese)
(20 ottobre 2017) - da 'micromega-online'