Giulia Adamo nelle ultime settimane è tornata in scena. Ha annunciato ricorsi, presentato esposti, e “condannato” le cose politiche-giudiziarie in Sicilia. Ha detto tante cose, alcune vere, altre non proprio. E’ stata un fiume in piena, nelle interviste rilasciate, nelle conferenze stampa.
E in queste occasioni, l’ex sindaco di Marsala, ex deputato regionale, ex presidente della Provincia di Trapani, ha tirato in ballo anche il caso giudiziario che l’ha portata a dimettersi da sindaco.
Estate del 2014, era appena scoppiato il caso delle spese pazze all’Ars. Ma la bomba per Giulia Adamo arrivò da un’altra vecchia faccenda. Venne condannata dalla Corte d’Appello di Palermo a 2 anni e 10 mesi e all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici per concussione . Sentenza che, sette giorni dopo, costrinse la Adamo a dimettersi da sindaco di Marsala. Anche perchè il prefetto di Trapani, sulla base della “legge Severino”, l’aveva già sospesa dalla carica per 18 mesi.
I fatti per i quali la Adamo era stata condannata risalgono al 2005, quando era presidente “forzista” della Provincia di Trapani e secondo la procura di Marsala avrebbe indotto il dirigente del settore Affari sociali, Ubaldo Augugliaro, a non versare i finanziamenti necessari al Convitto statale audiofonolesi di Marsala fino a quando non fosse stato sostituito il rettore dell’ente, la palermitana Anna Maria Adamo, con una persona a lei più gradita.
Una di quelle vicende non proprio insolite alle nostre latitudini. Non c’è ente pubblico che non abbia una qualche forma di abuso di potere da parte degli amministratori. E quello di Giulia Adamo è uno di questi casi, un caso che ha condizionato la vita politica e amministrativa della città di Marsala.
“Io ero Sindaco di Marsala e sono stata costretta a dimettermi perchè da Presidente della Provincia ho bloccato i finanziamenti all'Isituto audiofonolesi di Marsala perchè aveva 9 sordi e ne dichiarava 90”, ha detto l’ex sindaco.
Adamo ha detto anche di esser stata assolta. Le cose sono andate un po’ diversamente però. Ed è bene chiarirle. Cioè che la Corte di Cassazione, nel bel mezzo della campagna elettorale del 2015, ha messo una pietra sopra ad una vicenda che andava avanti da 10 anni. I giudici di terzo grado hanno precisamente riformato il reato da concussione - per cui venne condannata Adamo in secondo grado - ad abuso d’ufficio, non punibile, però, perchè è intervenuta la prescrizione.
Prescrizione e assoluzione sono due cose totalmente diverse, come anche chi non mastica diritto comprendere. L’imputato è assolto quando viene dichiarato, dai giudici, innocente del reato contestato, per dirla semplice. La prescrizione del reato (ma c’è anche quella della pena) arriva quando sono decorsi i termini fissati dalla legge senza che sia stata emessa sentenza di condanna. E’ il caso di Giulia Adamo. Dopo due processi finiti con assoluzione, arrivò per l’ex sindaco la sentenza della Corte di Cassazione che rinviò il caso nuovamente in corte d’appello. Qui i giudici di Palermo la condannarono per concussione a 2 anni e 10 mesi più l’interdizione. L’ex sindaco ha fatto ricorso in Cassazione opponendosi alla sentenza di condanna per quattro ragioni. Secondo i difensori di Adamo non ci fu nessun “ordine” di sospendere i pagamenti del convitto, erronea applicazione della legge su “concussione per costrizione”, nessuna condotta per interessi privati o di natura politica, mancanza di dolo.
La Cassazione esamina tutti i punti e dà in parte ragione all’ex sindaco. Cosa dicono, però, i giudici di terzo grado?
L’ORDINE
Secondo la Cassazione i giudici della Corte d’Appello hanno “travisato”. Non ci sarebbe stato un vero e proprio ordine, dall’Adamo ad Augugliaro, “di non pagare le rette arretrate per i convittori fino a che il competente organismo scolastico non avesse deciso di rimuovere la "reggente" dall'Istituto, prof.ssa Anna Maria Adamo”. L’interpretazione dei giudici d’appello, in sostanza, per la Cassazione è stata smentita da Augugliaro che ha sostenuto “che il motivo principale della sua (di Giulia Adamo, ndr) iniziale decisione di soprassedere dal pagamento delle rette fu la necessità di assumere informazioni ad attivare le dovute verifiche circa l'effettiva debenza delle somme richieste dal Convitto e, dall'altro lato, che la decisione, sempre a lui attribuibile, di liquidare le somme "con riserva" nell'aprile 2005, fu dovuta ad alcune pressioni ambientali”. Pressioni ambientali, quindi. Non un vero e proprio ordine.
LA COSTRIZIONE
La Cassazione rettifica anche la parte della “costrizione”, alla luce della riforma del reato di concussione introdotto con la legge Severino. Secondo il giudice del rinvio Giulia Adamo, “mediante la sua condotta volta a sospendere (prima) e a consentire (poi) l'erogazione delle rette (asseritamente) spettanti al Convitto, abbia esercitato una pressione che avrebbe inesorabilmente costretto la preside Anna Maria Adamo a chiedere al dott. Di Stefano di sollevarla dall'incarico di "reggente"”.
Per costrizione, però, i giudici della Cassazione intendono una “una pressione psicologica praticamente invincibile, di tale intensità, cioè, da porre il soggetto passivo letteralmente "con le spalle al muro", di talchè egli si ritrova di fronte ad un "aut-aut" che rende "obbligato" il suo atteggiamento remissivo, senza "alternative diverse dalla resa"”. Secondo la Cassazione questa costrizione non c’è stata perchè “la preside reggente del Convitto non ha mai esplicitamente sostenuto di essere stata "costretta" a dimettersi, tantomeno di averlo fatto esclusivamente a causa della condotta di Adamo”. Ma avrebbe lei stessa chiesto “di essere sollevata dall'incarico per motivi di carattere familiare e personale che nulla avevano a che fare con le presunte dispute con l'imputata”. Non ci fu costrizione, secondo la Cassazione, anche perchè il Presidente della Provincia non aveva tra i suoi poteri quello di rimuovere o far dimettere la preside del convitto.
VANTAGGIO PERSONALE
La corte di cassazione, nella precedente sentenza, rinviando il caso nuovamente alla corte d’appello aveva chiesto di verificare quale fosse l’utilità e l’interesse privato di Giulia Adamo nel far rimuovere la reggente del convitto.
I giudici di secondo grado individuano come “movente” la sua carriera politica e interessi di carattere elettorale: “da una parte, la Presidente Adamo avrebbe "costretto" la persona offesa a dare le dimissioni perché voleva liberarsi di una persona a lei "politicamente non vicina", peraltro "non disponibile ad alcuna forma di avvicinamento" e "difficilmente domabile" o "manovrabile"”. Per la Cassazione. però, non era emerso dall'istruttoria alcun elemento concreto che potesse avvalorare la tesi dell'esistenza di un vero contrasto politico-ideologico tra imputata e persona offesa, né, tantomeno, si era palesato addirittura il "disegno" prospettato in sentenza di "mettere in ginocchio" il Convitto per poi "salvarlo" con altra guida.
Il DOLO
Sul dolo c’è un vizio di legittimità nella sentenza di secondo grado in quanto manca la motivazione sulla condotta dolosa di Giulia Adamo.
CONCUSSIONE vs ABUSO D’UFFICIO
Se non è proprio concussione, allora cosa sarebbe stato il comportamento di Giulia Adamo? Qui arriva il nocciolo della decisione dei giudici di Cassazione. Non concussione, ma abuso d’ufficio. E per dirlo bisogna tornare indietro alla sentenza di primo grado, dove “all'imputata viene contestato di essersi intromessa, nelle attribuzioni riservate in via esclusiva al dirigente del settore amministrativo”.
“Giulia Adamo violando le regole che sovraintendono alla ripartizione dei compiti tra gli organi di indirizzo politico e gli organi amministrativi, ha certamente posto in essere una condotta illegittima” scrivono i giudici.
Ritiene provato, la Cassazione, come Giulia Adamo “avesse sollecitato, sia pure in modo non del tutto esplicito, ma attraverso le comunicazioni intervenute con organi istituzionali e non, il dirigente a non versare i contributi per gli alunni audiolesi, finché non fosse stata nominata alla guida dell'Istituto una persona residente a Marsala”. Questo comportamento di Adamo ha “ostacolato” la gestione del convitto da parte della preside che poi decise di dimettersi.
"Per quanto abbia fatto riferimento anche a problemi personali e familiari sottesi alla sua decisione di rinunciare all'incarico conferitole, fu costretta a tanto dalla necessità di far funzionare il Convitto, avendo maturato il convincimento che questa era l'unica soluzione pragmaticamente percorribile (scelta definita come consequenziale ed obbligata) per far sì che i finanziamenti arrivassero", avendo perfettamente inteso - dalle dichiarazioni rese alla stampa dalla Presidente Giulia Adamo - che il "problema" era legato esclusivamente alla propria persona avendo l'imputata manifestato la sua opinione che la Provincia non dovesse pagare le (controverse) rette fino a che non ci fosse stata una proficua svolta nella gestione del Convitto”.
Dopo le dimissioni della preside ci fu un cambio di rotta. Vennero pagate le rette arretrate, ma venne anche concesso un finanziamento straordinario che pendeva dal 2003.
La Corte di Cassazione mette una pietra sopra alla questione ritenendo che “l'imputata avesse perseguito - seppur indirettamente - come obiettivo primario del suo operato (evento tipico) quello dell'allontanamento della persona offesa dalla direzione del Convitto, accompagnando detta intenzionalità - non esclusiva - con il perseguimento del concorrente (ma subordinato) interesse pubblico che pure viene riconosciuto dal giudice del rinvio: questa conclusione trova conferma nelle modalità intrinseche (e subdole) della condotta e nei rapporti personali - ostacoli frapposti e pressioni indirette esercitate” tra Giulia Adamo e la preside.
Non c’è concussione, ma un abuso d’ufficio consumato fino al 14 aprile 2005. Ma nell’aprile 2013 arriva il termine per la prescrizione, prima che sia emanata la sentenza di secondo grado.