di Leonardo Agate - La Piazza Loggia è il centro di Marsala. Ci sono altre piazze notevoli in città: Piazza Piemonte e Lombardo, Piazza Giacomo Matteotti, Piazza del Popolo, Piazza Francesco Pizzo, Piazza Marconi, Piazza mons. Pasquale Lombardo, Piazza della Vittoria, e altre minori ma pure note. Ma Piazza Loggia, che in effetti si chiama Piazza della Repubblica, e che sotto i Savoia si chiamava Piazza Umberto I, ha la prevalenza, sia perché centro ideale della vecchia città, sia perché luogo di raccolta delle intelligenze più vive e degli sfaccendati più ignavi.
Ogni piazza delle città italiane ha la sua storia e le sue caratteristiche. Non ho un’idea precisa di Piazza Venezia a Roma o di Piazza del Duomo a Milano, anche se ci sono state tante volte. Può darsi che anche là, essendo tutto il mondo un paese, si rechino e stazionino menti acute e sfaccendati vari. Mi interessa di più la Piazza Loggia, perché marsalese di documentato radicamento e per quello che mi ha dato negli anni. Anche quando per vent’anni ho girovagato l’Italia per il mio lavoro, come Ulisse che andò e tornò da Troia, mi ricordavo giornalmente della mia piazza cittadina.
Se avviene qualcosa di importante in città, o nella regione, o in Italia o nel mondo, basta recarsi in Piazza Loggia per esserne informati. Anche se non è successo niente di rilevante, andare nella piazza e incontrarvi i conoscenti è positivo, perché, se si incontrano quelli giusti, si fanno osservazioni, anche di non stretta attualità, tanto per passare il tempo, che corroborano la mente e fanno poi pensare.
L’avvocato Mario Laudicina avendo svolto le sue commissioni mattutine, e non essendo ancora l’ora del pranzo, uscendo dall’Unicredit, dove fece un prelevamento con il Bancomat, pensò al solito : “Finché c’è carta c’è speranza”. Per carta intendeva quella di debito. Basta infilarla nell’apposita fessura dell’apparecchio automatico, segnare l’importo che si vuole prelevare, e il miracoloso aggeggio ti dà le banconote quasi nuove. Intanto una musichetta di sottofondo s’interrompe frequentemente per ringraziarti di prelevare i soldi. Una bella modernità.
Uscito su via XI Maggio, l’avvocato fece quei cento metri per andare in piazza, dove casualmente, come casualmente spesso avveniva, si incontrò con il dottor Enrico Sala, che era un medico sul punto di andare in pensione, utente provetto dello smartphone. Il dottore informò l’amico che si stava muovendo al Comune un progetto per la valorizzazione dell’isolotto della Schola nello Stagnone, ed anche qualcosa di più grosso, che avrebbe consentito la coltivazione ittica delle specie marine commestibili.
Per caso, si avvicinò ai due il consigliere comunale Natale Bonventre, che diede gli aggiornamenti sui due progetti. Anche fra i consiglieri comunali ci sono persone affidabili ed informati. Non molti a dire il vero, ma qualcuno c’è. Lo zio Natale, così conosciuto, per la maggiore età e per il rispetto che anni di politica gli avevano conferito, riferì del progetto riguardante la Schola. Si stava pensando di mettere in sicurezza gli edifici diruti del lazzaretto novecentesco, istallandovi un sistema di accoglienza turistica con impianto acustico per la trasmissione e l’ascolto di musiche classiche a coloro che, nella bella stagione, volessero passare qualche ora piacevolissimamente. Assicurava, il consigliere, che nessun nocumento ne sarebbe venuto all’ambiente, sia per la scelta dei brani, tra i più rinomati delle opere concertistiche, sia per il volume che sarebbe stato tenuto al giusto livello.
“Si può fare”, osservò il professore Andrea Di Girolamo, “ e non costerebbe nemmeno tanto”.
L’altro progetto, quello della piscicoltura, apparve più arduo, sia perché era un appalto costoso da affidare a un’impresa, sia perché richiedeva opere in muratura e legno e altro materiale da infiggere sul fondale per alcuni ettari.
S‘era intanto avvicinato il magistrato Giacomo Laganà, che ascoltò la parte del progetto di allevamento ittico. Storse alla fine la bocca. “Perché, Giacomo?” gli chiesero. Il magistrato non diede risposta, ma storse di nuovo la bocca. Gli altri capirono che l’appalto era una cosa delicata, che richiede tempo, attenzione e comporta rischi di vario ordine: l’impresa può fallire, come è avvenuto per altre opere pubbliche, e i lavori verrebbero lasciati a metà per anni e annorum, come avvenuto per il restauro della Chiesa di San Giovannello; oppure, a metà dei lavori, il Demanio Marittimo avrebbe rivendicato la proprietà del mare, e avrebbe bloccato i lavori, come è avvenuto durante la costruzione del Monumento ai Mille al Margitello; l’impatto sull’ambiente, e sulla fauna marina in particolare, avrebbe potuto danneggiare l’uno e l’altra, nonostante le relazioni ottimistiche degli esperti. Continuando a tacere il noto magistrato, il dott. Sala trasse la sua conclusione: “ Gli esperti possono dire quello che vogliono, ma, dico io, questi pesci allevati nelle vasche in grande quantità, non cacano?” La domanda lasciò di stucco il gruppetto. La domanda era retorica, la risposta contenuta nella domanda. Difatti tutti pensarono che non ci sono pesci che non buttano escrementi, soprattutto se vengono allevati per farli crescere al più presto e ingrassati in modo abnorme.
Lo zio Natale, che una certa risposta acconsenziente aveva dato all’ingegnere del Comune che gliene aveva parlato, non sapeva cosa dire, ma qualcosa era obbligato a dire, dipendendo più da lui che dagli altri la prosecuzione dell’iter progettuale. Tutti gli altri lo guardavano, attendendo. Costretto a dire qualcosa, e non sapeva cosa, se ne uscì con: “Ma dei bagni chimici non avete mai sentito parlare”.
Onestamente, tutti gli altri risposero in coro: “No”, di bagni chimici in mare per i pesci non avevano finora sentito parlare. Anche lo zio Natale si accorse di essere andato oltre con le acquisizione della tecnica. Per fortuna s’era fatta l’ora canonica dei marsalesi a pranzo, lo zio Natale guardò l’orologio, accennò a un pranzo di famiglia e sgusciò via di fretta.