Di Angelo Barraco - “Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi”è il titolo del nuovo libro dell’Avvocato Nicodemo Gentile, uscito il 23 novembre scorso. Natio di Cirò, un comune di circa 2.816 abitanti della Provincia di Crotone, in Calabria, è un avvocato cassazionista che si occupa prevalentemente di diritto penale. Nel corso degli anni si è occupato di vicende giudiziarie di rilevanza nazionale, come il delitto dell’Olgiata, dove è stato il legale degli imputati, il delitto di Melania Rea, l’omicidio della piccola Sarah Scazzi, Teresa e Trifone, i fidanzati di Pordenone uccisi nel parcheggio, Roberta Ragusa e Guerrina Piscaglia. Il suo impegno costante con le comunità, con le associazioni impegnate nel sociale lo ha fatto divenire un punto di riferimento importante e fondamentale sia dal punto di vista legale che umano. Gli italiano hanno potuto conoscerlo e apprezzarlo attraverso i palinsesti televisivi in cui è stato ed è ospite frequentemente. Trasmissioni dedicate appositamente alla cronaca, vetrine importanti e di prestigio in cui Nicodemo Gentile racconta e spiega dettagliatamente fatti e vicissitudini che riguardano i casi di cui si occupa, diventando portavoce legale e umano del dolore di chi una verità o una risposta ancora non l’ha trovata.
Si parla tanto di carcere, spesso anche troppo e nella maggior parte dei casi in modo inappropriato. E’ un argomento delicato, controverso e talvolta spinoso, che induce a riflettere sul peso della condanna e al contempo sulla vita che per un detenuto ricomincia dopo la condanna stessa. Il processo di destrutturazione della libertà si chiude indelebilmente con il catenaccio delle manette che si serrano ai polsi; la consapevolezza della perdita del diritto alla libertà individuale si concretizza con la chiusura del portone che saluta l’ultimo inverno e inaugura nuove albe grigie tra muri di cemento e grate in metallo. Sotto gli occhi del detenuto si palesa un micro mondo fatto di bianche pareti umide e silenziose, impregnate dal dolore che tace e non avrà mai voce poiché desueto nella memoria del cemento e dei posteri. “La prima notte in carcere te la ricorderai per tutta la vita, ce ne saranno come quella, dove non riuscirai a dormire sovrastato dai pensieri, ma la prima non andrà mai via” così Salvatore Parolisi ha ricordato la sua prima notte in prigione.
Grate in metallo arrugginite, fredde e insicure, che ogni giorno vengono accarezzate, sfiorate o prese a pugni da quella reclusione che ingloba la voglia e il desiderio di tornare a casa, di abbracciare un figlio, una moglie o una madre e poter dormire in un letto caldo, mangiare un pasto in famiglia e osservare semplicemente la maestosità dei colori d’autunno. Nicodemo Gentile ha deciso di raccontare l’aspetto più intimo dei detenuti attraverso le testimoniante e gli loro scritti che negli anni ha custodito. Un libro che non racconta le vicende processuali ma la vita quotidiana in carcere, il malessere della detenzione, il dolore per la mancanza dei familiari, chi non riesce ad adattarsi alla detenzione e alla privazione della libertà, chi ha perso la speranza e chi invece non ha perso la speranza: spaccati di vita che sono stati raccolti e raccontati con la competenza tecnica derivata dalla sua professione e che offre un quadro accurato in merito alla situazione in cui versano i detenuti nel nostro Paese. Carmelo Musimeci, ex ergastolano entrato in carcere a quindici anni, ha scontato quasi quarant’anni di detenzione, molti dei quasi in regime di isolamento. Adesso è uomo libero, ha tre lauree e scrive libri sul carcere e ha descritto così gli ergastolani: “passeggiano in modo diverso da tutti gli altri prigionieri perché fanno su e giù come morti in vita. E si muovono come spettri, guardano il tempo che va via facendo una decina di passi avanti ed una decina di passi indietro. Perduti per sempre in un modo perduto senza avere nulla neppure il nulla per cui attendere, sperare e vivere”.
Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, ha scritto la prefazione del libro: “ogni istituto penitenziario è un microcosmo con i suoi riti, le sue gerarchie. Non puoi conoscerlo, e non puoi conoscere chi lo abita, se non entrandoci , passandoci del tempo. Con l’umiltà di ascoltare e l’intelligenza di sospendere i giudizi. Questo è riuscito a fare Nicodemo Gentile, e questo racconta nelle pagine del suo libro. Un libro speciale, perché è un libro vero”. Un viaggio introspettivo e profondo, dove a parlare sono di volta in volta i suoi assistiti: da Salvatore Parolisi, condannato per l’omicidio della moglie Melania Rea a Carmelo Musimeci, ex ergastolano; da Angela Birkiukova, condannata per l’omicidio del marito a Manuel Winston Reyes, condannato per l’omicidio della Contessa dell’Olgiata. Tanti i temi affrontati nei diciannove capitoli del libro: 41 bis, permessi premio, suicidio, custodia cautelare, ergastolo ostativo, ergastolo, malattia mentale, sovraffollamento carcerario, reclusi senza famiglia, Dio, la testimonianza del cappellano di Perugia che da oltre venticinque anni si occupa delle detenute del carcere di Capanne, vittime di reati, misure alternative alla detenzione e dei loro familiari.
L’Avvocato Nicodemo Gentile ci ha concesso un’intervista dove ha spiegato ulteriori dettagli in merito al suo libro “Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi”.
- Abbiamo avuto modo di vederla, anche tramite i social, in giro per l’Italia per la promozione del libro: come procede?
Avevo timore che il tema trattato potesse creare distanze perché è un tema complesso e soprattutto controverso ma forse proprio per questo il tema suscita molta curiosità, voglia di approfondire, voglia di entrarci dentro, anche da parte di chi non è squisitamente tecnico; anche forse per il modo con il quale è stato affrontato e trattato questo mondo nel mondo che è appunto il mondo carcerario. Non c’è la consegna di nessuna verità, ci sono soltanto riflessioni soprattutto da parte di chi, purtroppo, per errori gravi, per sventura, per sfortuna, per scivoloni importanti si ritrova a vivere per un periodo più o meno lungo quel sistema. Soprattutto, la cosa più bella, è che ci sono stati un sacco di contatti spontanei –quindi da me in nessun modo provocati- da parte sia dell’Ordine degli Avvocati, delle Camere Penali, ma anche da parte di cultori della materia che si stanno interessando seriamente ad approfondire con me, insieme ad altri. Ed è bello perché sono riuscito a creare momenti di riflessione sia tra i giovanissimi; ero a Treviso questo fine settimana, dove c’erano 200 ragazzi che avevano letto il libro, che si erano fortemente interessati. Spesso nelle mie presentazioni intervengono psichiatri, perché parlo del suicidio, parlo di questo spaccato ulteriormente triste, così come parlo della malattia psichiatrica. In questa mia raccolta di racconti c’è tutto un capito dedicato a questo, quindi spesso ci troviamo con psicologi, con psichiatri, con sociologi. Ho fatto una bellissima presentazione al mio paese, a Cirò, il paese mio natale e c’erano anche operatori del settore, c’erano agenti di Polizia Penitenziaria, ispettori. Sono riuscito a creare un bel movimento d’opinione, poi ognuno dice la sua ma la ricchezza è proprio questa, in questo scontro e incontro di opinioni. L’obiettivo che mi ero prefissato, anche se non sono tanti mesi che il libro gira, in neanche due mesi la cosa più bella è che sono riuscito a far parlare di carcere come volevo io, perché di carcere bisogna parlarne, ognuno dice la sua, ognuno nel rispetto di chi è coinvolto deve dire la sua, questo era l’obiettivo di fondo: parlarne, creare spunti e momenti di riflessione comune multidisciplinare e la cosa ad oggi sta funzionando perché mi stanno chiamando sinceramente da ogni parte d’Italia.
- Il libro mostra due facce della stessa medaglia: da un lato vediamo l’Avvocato e da un lato vediamo l’uomo che racconta i fatti al di là della toga. Il lettore come ha reagito dinnanzi all’incontro delle due parti?
Nei vari commenti che leggo, soprattutto nei messaggi che mi arrivano in modo costante in privato, la grande sorpresa è proprio quella che tu hai colto in modo molto acuto; il fatto che non c’è soltanto l’Avvocato che dice cose più o meno già dette e più o meno scontate ma quello che maggiormente ha sorpreso in questi racconti, in questo viaggio nel mondo del penitenziario è proprio il discorso umano. Io non dico mai che il carcere non è qualcosa che può servire o non è giusto, io però dico che ogni uomo è molto di più del suo errore e dopo che si sbaglia non si diventa altro, si rimane comunque persone e cerco di raccontare queste persone che entrano in questo circuito e scatta in modo quasi inesorabile la solitudine, scatta la distanza. Ho visto gente che era circondata da un sacco di amici, nel momento in cui è stato arrestato, indagato, i propri familiari sono stati allontanati, messi a distanza e allora all’improvviso la faccia della vita diventa più ruvida. Soprattutto spiego come l’Avvocato in queste vicende non è soltanto il professionista che va con giacca e cravatta a fare il suo lavoro ma è anche l’uomo, perché spesso e volentieri l’Avvocato in vicende così difficili e gravi diventa l’unico ponte per il detenuto con l’esterno, l’unica spalla amica su cui riversare un mondo fatto anche di gravi errori.
Abbiamo parlato di carcere anche con la Dottoressa Rossana Putignano [Psicologa- Psicoterapeuta, Consulente di parte con il CRIME ANALYSTS TEAM in qualità di Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Neuropsicologica e Forense] e ci ha riferito che “l’Italia si sta attrezzando in questo settore con l’assunzione di personale sanitario penitenziario (psicologi, criminologi e psichiatri): ogni detenuto viene sottoposto all’ingresso a un colloquio di filtro cercando di individuare eventuali tratti di alterazione psichica e eventuale necessità di successivi controlli psichiatrici al fine di collocare i soggetti più a rischio in sezioni più protette, riducendo, così, il rischio di atti autolesivi che sono molto frequenti tra i detenuti”. La dottoressa Mary Petrillo, Psicologa, criminologa, Coordinatrice del Crime Analysts Team, Docente Master Univ. Niccolò Cusano ci ha riferito che “il Crime Analysts Team converge sulla carcerazione riabilitativa, ma se effettivamente il detenuto viene "riabilitato" e se, invece, dopo parere degli esperti ci si rende conto che un individuo in stato detentivo non ha migliorato e compreso il suo comportamento "sbagliato" si deve avere il coraggio di non concedergli alcun beneficio”.