Si dimette, ma non subito, Matteo Renzi da segretario nazionale del Partito Democratico, lo fa non senza tribolazioni, dopo lunghe riunioni con i suoi fedelissimi.
Renzi accetta la sconfitta totale dei dem, ovunque sui territori: “Abbiamo riconosciuto la sconfitta netta che ci impone di aprire una pagina nuova nel PD. Siamo orgogliosi del lavoro fatto in questi anni, abbiamo fatto un lavoro strepitoso ma è una asconfitta chiara. Oggi l'Italia ha una situazione per cui chi ha vinto le elezioni non ha i numeri per governare. In questa campagna elettorale delle bugie ce ne è una più grande delle altre, quella dei nostri avversari che dicono 'non faremo mai inciuci'. Vediamo cosa faranno”.
Il segretario nazionale è pronto a lasciare la segreteria dopo l'insediamento del governo, nelle more affida a Matteo Orfini la guida del partito così da convocare una assemblea nazionale per aprire la fase dei congressi.
Nel suo compresso discorso alla stampa, Renzi, indica una linea politica ben precisa che non consente di essere nulla di più che opposizione: “Mi sento garante di un impegno morale politico e culturale, abbiamo detto no ad un governo con gli estremisti, non abbiamo cambiato idea. Il nostro posto è all'opposizione, lì ci hanno chiesto di essere i nostri elettori. Non c'è nessuna fuga, terminata l'insediamento del governo farò il senatore semplice”.
Il discorso del Renzi nazionale è forte, costruisce il percorso del domani, rilancia la partita: “ Non è possibile evitare un confronto interno al PD, ed è normale fare un congresso serio e risolutivo che permetta alla leadership di fare ciò per cui è stato eletto, non un reggente eletto da un caminetto ma segretario eletto dalle primarie”. E' chiaro che Renzi non farà il semplice senatore, del resto porta con sé nelle aule del Parlamento almeno 40 dei suoi fedelissimi.
E' lucido politicamente, con delle strategie molto chiare di un partito che deve fare analisi politica, sganciata da una campagna elettorale tecnica che non ha premiato i dem ma che porterà a un nuovo corso.
Fuochi incrociati anche per il PD siciliano dove la sconfitta è più amara del solito, i territori ne sono usciti sconfitti, una catastrofe. Antonello Cracolici contro Davide Faraone, reo di non avere tenuto conto delle diverse anime del partito durante la composizione delle liste. Cracolici parla di un PD diventato un autobus: “Molti dei nostri elettori non hanno votato o hanno votato per il Movimento 5 Stelle”.
Verrebbe da fare un applauso lungo 90 minuti a Cracolici e a quanti, dirigenti e militanti dem, abbiano votato i pentastellati. Non perchè non avrebbero potuto ma perchè logica vorrebbe che ci si dimetta per poi esprimere preferenza verso altri partiti.
Questa la correttezza espressa da quanti, nel PD, indicano la via maestra unicamente quando a percorrerla siano gli stessi nomi di sempre, anche per chi è senza consenso.
A usare buon senso è Dario Chinnici, capogruppo del PD a Palermo: “ Prima salgono sul carro del vincitore votando Renzi alle primarie e facendosi concedere la deroga per il quarto mandato all’Ars, e dopo, pur non avendo mai organizzato una sola iniziativa a sostegno del partito, scendono dal carro e criticano. Non è il momento di trovare capri espiatori o colpevoli, è piuttosto il momento giusto per fare autocritica e ritrovare l’unità facendo una lucida analisi del voto".
Il PD perde ovunque, non porta a casa nessun collegio uninominale ma a differenza del centrodestra sapeva di volare basso.
Da dove partiranno adesso i dem? Intanto, anche, dalle dimissioni dei segretari dei circoli, se si dimette Renzi non si comprende perchè non possano farlo i dirigenti locali che hanno subito una sconfitta sonora. Poi potrebbero partire dagli sconfitti, da coloro che si sono spesi per il partito con la consapevolezza che non tutti hanno lavorato nella medesima direzione. In molti sono rimasti fermi, senza fare campagna elettorale. Pamela Orrù, sconfitta all'uninominale, lo dice chiaramente: “Grazie a coloro che hanno fatto poco…avranno avuto le loro buone ragioni che rispetto. Grazie a chi ha ritenuto di non esserci affatto, ai “grandi assenti”, quelli per cui il servizio politico non è il raggiungimento del bene comune e che fanno dell’autoreferenzialità una ragione di vita”.
Non fa i nomi la Orrù ma è evidente che il PD non è stato compatto nella ricerca del voto e nel portare a casa il risultalto.
Così è stato anche per Anna Maria Angileri, i voti consenguiti sono frutto di un duro lavoro sul territorio, di una omogenea politica portata avanti con i consensi, che ha dimostrato sempre di avere. Ma non sono bastati.
Il risultato del collegio di Marsala è un risultato portato dalla Angileri e da Paolo Ruggirello, oltre che dalla Orrù.
La strada la indica Matteo Renzi, durante le sue dimissioni: il Pd deve tornare a dialogare con la gente, sui territori, deve tornare a celebrare i congressi quelli veri e non fatti di nomine per acclamazione.