La Corte d’Appello di Palermo ha confermato la condanna a 12 anni di reclusione per Paolo Ruggirello, ex deputato regionale ed esponente del Partito Democratico, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo scaturito dall’operazione antimafia “Scrigno”. L’inchiesta, condotta dai Carabinieri nel 2019, aveva portato alla luce un intreccio tra politica e mafia nella provincia di Trapani, coinvolgendo esponenti di spicco della criminalità organizzata e figure politiche locali.
La sentenza
La Corte ha confermato quasi tutte le condanne emesse in primo grado, tranne per Vito Gucciardi, la cui accusa è stata riqualificata da associazione mafiosa a favoreggiamento aggravato. Gucciardi, che aveva già scontato interamente la pena in misura cautelare, è stato immediatamente scarcerato.
Gli avvocati difensori avevano presentato appello contro la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Trapani, così come aveva fatto la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Palermo, chiedendo una riforma in senso peggiorativo (in peius) per diversi imputati.
Le richieste della DDALa Corte ha confermato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Trapani, rigettando contestualmente l’appello della DDA in peius. Pertanto, le condanne restano le seguenti:
La Corte d’Appello ha quindi mantenuto invariata la qualificazione giuridica dei reati rispetto al primo grado, respingendo la richiesta della DDA di aggravare le imputazioni.
Il caso Ruggirello
Paolo Ruggirello era stato accusato di aver favorito gli interessi di Cosa Nostra nella provincia trapanese. Secondo l’accusa, l’ex deputato avrebbe mantenuto un rapporto stretto con i boss locali, garantendo sostegno politico in cambio di voti e appoggi elettorali. La pubblica accusa aveva chiesto in appello una condanna ancora più pesante, a 15 anni di reclusione, per associazione mafiosa, ma la Corte ha confermato la qualificazione giuridica di concorso esterno e la pena di 12 anni.
L’inchiesta “Scrigno” ha svelato un sistema in cui i politici locali non si limitavano a subire le pressioni della mafia, ma, al contrario, si rivolgevano ai boss per ottenere consensi elettorali. La Procura Generale ha descritto questo sistema come una dimostrazione dell’“affectio societatis”, ovvero un legame stabile e consapevole tra mafiosi e politici, capace di inquinare profondamente il tessuto sociale ed economico della provincia.
Oltre a Ruggirello, in primo grado erano state emesse condanne pesanti per altri imputati, tra cui Nino Buzzitta (21 anni), Vito D’Angelo (16 anni) e lo stesso Gucciardi prima della riqualificazione del reato. L’operazione “Scrigno” ha dimostrato come la famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, storicamente legata al boss Matteo Messina Denaro, continuasse a esercitare un’influenza capillare sul territorio, infiltrandosi nella politica locale e compromettendo la democrazia.