di Leonardo Agate - Matteo Salvini si sta dimostrando un vero politico. Ha portato la Lega ad essere il maggior partito del centrodestra. Ha cambiato il vecchio nome del partito Lega Nord in Lega semplicemente. Può legare ormi tutta l’Italia dalle Alpi alla Sicilia, e difatti ha raccolto voti pure al Meridione, cosa che mai prima era avvenuto.
Come primo partito della coalizione che ha ottenuto più voti vorrebbe la presidenza del Consiglio, ma non ne fa una questione di principio ineliminabile. E’ pure disposto a non fare il presidente del Consiglio, purché al posto ci vada uno a lui gradito. Poi, otterrà quel che gli spetta nella distribuzione dei ministri e dei sottosegretari. D’altra parte, la figura del presidente del Consiglio, indipendentemente dai ministri che gli siedano accanto, non è determinante. Contano molto certi ministeri, per esempio quelli dell’Economia e delle Finanze, degli Interni, degli Esteri.
Luigi Di Maio, invece, pretende per sé la presidenza del Consiglio, e sembra non accettare altri nomi. Questa predeterminazione è sbagliata in politica, che è compromesso, salvo nelle dittature. Di Maio dovrebbe capirlo, se è intelligente. E’ vero che il suo partito è stato quello che ha raccolto più voti, ma è pure vero che la coalizione di centrodestra, sommando i voti dei suoi partiti, ne ha avuti di più. E allora? Non varare un governo tra i partiti che sono stati più votati dagli elettori solo per il puntiglio di chi deve assumere le funzioni di presidente del Consiglio, è un errore che può costare caro alla nazione.
Senza l’inaugurazione di un nuovo governo, di tendenze opposte a quelli precedenti, rinnegati dagli elettori, si dovrà andare a nuove elezioni, che sono sempre dall’esito incerto. I sondaggisti dicono che, se si andasse di nuovo al voto a breve scadenza, il M5S e la Lega aumenterebbero i consensi, a scapito di tutti gli altri partiti. Difficilmente il M5S potrebbe ottenere il 51 per cento dei consensi, e quindi dovrebbe di nuovo dialogare con l’altro partito più forte, la Lega. Di nuovo sorgerebbe la questione della presidenza del Consiglio. E saremmo punto e daccapo. Intanto la conduzione del Paese resterebbe nelle mani morbide e non fattive di Gentiloni, che, in seguito all’esito delle lezioni, è dimezzato nei suoi poteri rispetto al passato, in cui è stato inconcludente per la sua parte.
La situazione è tale che Di Maio dovrebbe cedere sulle questioni di principio, utilizzando il buon senso della pratica politica, ovvero della politica realistica. Assieme a Salvini e a quasi tutto il centrodestra, avrebbe in Parlamento i numeri per una lunga stagione di governo. Tolti di mezzo le questioni di principio, un programma comune di buon livello può essere realizzato; la giustizia, il fisco, la sicurezza pubblica, il controllo dell’immigrazione, la pubblica amministrazione, i rapporti con l’Unione Europea aspettano di essere affrontati in modo nuovo, come possono fare, se si accorderanno, Di Maio e Salvini. In modo diverso da come ha fatto la sinistra negli ultimi deleteri sei anni.