di Leonardo Agate - Ormai, dopo il secondo giro di consultazioni, è chiaro che i partiti non hanno trovato la quadra, sono in stallo, ma si sono chiarite le posizioni dei vari contendenti. Il presidente della Repubblica ha preso atto che ancora non si profila una maggioranza parlamentare che possa far nascere il nuovo governo, sottolineando che è urgente averlo. Si è preso alcuni giorni di tempo prima di decidere. In questi giorni le varie forze politiche avranno battibecchi e colloqui, e potranno dare nuove indicazioni al Quirinale, dove il presidente attende con speranza.
La situazione al momento è che il M5s intende fare un governo con la Lega ma non con tutto il centro destra, soprattutto senza Forza Italia, che dovrebbe fare “un passo di lato” (virgolettato di Di Maio). Al Movimento basterebbe che Berlusconi non aspirasse a posti di sua diretta emanazione nel futuro governo. Accetterebbe un appoggio esterno di Forza Italia, non inclusivo di responsabilità governative. A Berlusconi, se ancora ragionasse, questo dovrebbe piacere. Non più in prima linea, ma con gli amici leghisti nei posti di potere, potrebbe stare relativamente tranquillo nei suoi affari , e non più esposto alla botte e cannonate che riceverebbe facendo accomodare uomini suoi nelle poltrone di Palazzo Chigi. Ma il Cavaliere è ancora in grado di ragionare? Assumere il ruolo di attore di riserva, lui che per un quarto di secolo è stata primadonna, è concepibile? Ne dubito, perché a una certa età non si cambia più il carattere.
All’uscita del Salone della vetrata, Salvini, capo del maggior partito del centrodestra, ha fatto la sua dichiarazione. Alla sua sinistra aveva Berlusconi; alla sua destra la Meloni. Mentre Salvini dichiarava, la Meloni stava correttamente zitta; invece Berlusconi gesticolava e sottolineava a gesti e parole la dichiarazione di Salvini, come un vecchio insegnante che voglia sostenere un suo caro alunno. La dichiarazione di Salvini è diventata un scena di avanspettacolo. Penso che in serata Salvini avrà telefonato al Cavaliere per dirgli: “ Ma come ti sei permesso di far fare quella figuraccia a tutti noi? Sei rimbambito?”. Difatti, la sceneggiata berlusconiana, con accusa finale di antidemocraticità al M5s, ha rafforzato questo movimento nella sua deriva antiforzista. Ma nemmeno con i Dp i il M5s potrà fare il governo, dato che quel partito è arroccato, per il 70%, sulle posizioni aventiniane di Renzi, ed a rischio di nuova spaccatura.
Importanti diventano a questo punto i sondaggi di questi giorni sulle intenzioni di voto, se si andasse di nuovo a votare. Che dicono i sondaggi? Le varie agenzie sono pressappoco univoche: crescerebbe di sei punti la Lega, resterebbe forte il M5S. si ridurrebbe il consenso a Forza Italia al 10% e forse meno. Si ridurrebbe il consenso a FdI. Nell’area di sinistra andrebbero tutti male, complessivamente, ma soprattutto LeU, che non supererebbe più la fatidica soglia del 3%; tutto il grasso si sarebbe squagliato.
Votare di nuovo vuol dire attendere altre settimane di sospensione e di attesa; altri due mesi per la fissazione della data delle nuove votazioni. Ce ne andremmo all’estate, che nel nostro Bel Paese è calda; meglio far slittare tutto all’autunno. Poi ci sarebbero i nuovi giri di consultazioni, e l’amorfo Gentiloni continuerebbe straccamente a seguire l’ordinaria amministrazione. Le attese riforme segnerebbero il passo.
Tutte le ipotesi sono sul tappeto; nulla è escluso; tutto è provvisorio, e muta da un giorno all’altro. Una sola cosa è certa: che le intenzioni degli elettori oggi sono ancora, e in maggior misura, per un governo di colore giallo (M5S) e di colore verde (Lega).
Ammesso che Salvini scaricasse Berlusconi, dal quale ha avuto l’appoggio in tanti collegi elettorali per vincervi, la sua forza solitaria oggi è il doppio di quella di Forza Italia, ma pari a due terzi di quella del M5s. Al governo avrebbe un rapporto di rappresentanza di 2 a tre rispetto all’altro partito. Sarebbe un governo più colorato di giallo che verde. Può andare a Salvini? Attendo, come Mattarella, i nuovi ammiccamenti e dialoghi e ripicche tra le forze in campo, prima di fare ulteriori valutazioni, spettando al presidente della Repubblica le decisioni.