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02/05/2018 06:00:00

Trapani, il giornalismo, la mafia

 In occasione della "Giornata per i giornalisti uccisi da mafia e da terrorismo", l'agenzia giornalistica Ansa ha pubblicato una serie di ritratti e interviste a giornalisti particolarmente esposti, secondo loro, nel Sud Italia e in Sicilia.

In provincia di Trapani ad essere intervistato è stato Rino Giacalone. Un'intervista, però, con inesattezze e imprecisioni, che ha provocato la reazione degli altri giornalisti trapanesi e di Assostampa. 

Giornalista da 30 anni, Rino Giacalone ha 56 anni e lavora allo Iacp (Istituto Autonomo Case Popolari) oltre a fare il cronista, prima per la Sicilia, fino al 2011, e poi per Il Fatto e oggi per La Stampa.

Nell'articolo Giacalone racconta di "una pioggia di querele firmate da parenti di boss come la sorella e il cognato del padrino di Castelvetrano" e che "nel 2016 ricevette un bigliettino che non lasciava spazio a dubbi: «fai puzza di morto, non hai capito un c...Smettila di scrivere»".

L'articolo contiene una serie di informazioni vaghe e imprecise. Ad esempio: "Ampi stralci delle sue inchieste sono state riportate nel provvedimento di scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Castelvetrano, paese di Messina Denaro, nel 2017" dice l'articolo. Cosa che non è dimostrata, e non è emersa da nessuno degli atti, conosciuti, del provvedimento di scioglimento del Comune di Castelvetrano, che invece si basa su inchieste giudiziarie.

Così come Giacalone, non è stato il primo, nè l'unico, a raccontare dei rapporti tra mafia, politica e massoneria in provincia di Trapani. Su queste vicende, ad esempio, Tp24.it ha fatto approfondimenti e inchieste (come si può vedere oggi nella prima puntata della nostra inchiesta su Campobello di Mazara). Ma, giusto per non parlare di questa testata, basta ricordare che  una delle vicende che più hanno sconvolto la comunità trapanese negli ultimi anni - gli ammanchi alla Curia di Trapani - è stata ad esempio svelata e raccontata da Gianfranco Criscenti e Giuseppe Pipitone, che pure hanno dovuto affrontare processi, minacce e polemiche, senza alcun ombrello riparatore delle varie associazioni antimafia. O ancora: quando nel 2014 Marco Bova su Tp24 raccontò in un reportage quello che succedeva di anomalo al porto di Trapani, fu il giorno dopo Rino Giacalone a fare un'intervista "riparatrice", su un'altra testata isolando così chi aveva fatto l'inchiesta... 

Ma ancora più gravi sono le parole di Giacalone in riferimento ai suoi colleghi giornalisti locali: "Quel che mi è sempre mancato, in realtà, è la solidarietà dei colleghi trapanesi. Qui la realtà dei cronisti è un pò particolare: io sono l’unico che va in procura e mantiene rapporti coi pm. Perché in genere si parla solo con i difensori degli imputati".

Non solo non è una circostanza vera (Tp24.it è stata ed è in prima fila per sostenere le ragioni dei giornalisti liberi nel territorio),ma si accusa i giornalisti locali di non avere rapporti privilegiati, a quanto pare, con le Procure, o, addirittura, di ascoltare anche i difensori di persone indagate o imputate.  Questa è una vicenda dirimente: perché c'è un giornalismo al quale, evidentemente, basta dare del "pezzo di merda" ad un boss defunto per sentirsi appagato, e c'è invece un giornalismo che cerca la verità, nella sua complessità, analizzando situazioni e contesti in libertà, senza schiacciarsi automaticamente sulle carte passate da qualche pm o sui verbali girati da qualche investigatore amico. 

Da qui la reazione del sindacato dei giornalisti, Assostampa:  «In una intervista rilasciata all’Ansa il collega Rino Giacalone, oltre a tracciare un excursus sul suo impegno antimafia, esercitato da giornalista, si lascia andare a un paio di considerazioni inaccettabili per quanti, in provincia di Trapani, esercitano questo mestiere».

Lo afferma il segretario Provinciale dell’Assostampa, Giovanni Ingoglia: "Giacalone lamenta come gli sia 'sempre mancata la solidarietà dei colleghi trapanesì. Affermazione pienamente contestabile dal momento che averlo assistito legalmente ed economicamente nei suoi procedimenti penali è stato un atto di solidarietà, piena e concreta, dei giornalisti iscritti alla sezione provinciale dell’Associazione Siciliana della Stampa.- aggiunge - Giacalone rincara la dose quando sostiene che 'sono l’unico che va in procura e mantiene rapporti coi Pm.Perché in genere si parla solo con i difensori degli imputatì. Non è assolutamente così. Dando per scontato che i pm e i difensori degli imputati lavorano con la stessa dignità nell’interesse della verità e della giustizia e che ogni imputato è innocente sino ad una sentenza definitiva, mi pare ovvio che questo mestiere non si può fare soltanto con le veline che escono dalla Procura o sui gli input dei magistrati, né tanto meno sui pareri dei difensori degli imputati». «Serve una ponderata misura che dia una informazione - osserva - non di parte ma chiara ed inequivocabile, altrimenti il giornalista e si diventa portavoce dell’una o dell’altra parte con il solo risultato di glorificare se stesso».