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13/05/2018 07:52:00

"The kings of summer": finalmente un film ... sbarazzino!

 Se c’è un appunto che mi son visto muovere, parlando con alcuni amici (reali e virtuali) sui contenuti della nostra rubrica settimanale, è che “Stalker” rifugge antipaticamente le ‘cose un poco sbarazzine’

Da questo inciso che rimarca l’oggettiva mancanza di commedie nel nostro palinsesto, all’accusa di presunta seriosità il passo sarebbe breve, in effetti. Sarebbe. Perché due cose mi venga concesso di dire.

 

Uno; la commedia è uno strumento cinematografico molto e troppo delicato, che permette di intersecare e miscelare i vari generi (da un incipit comico si può passare ad un finale mistery, passando per uno spruzzo di melodramma, a far d’esempio), ma presuppone una capacità di estraniazione/sublimazione grazie alla materia trattata – quello di prendersi troppo sul serio, sbracando dopo mezzora, è il difetto maggiore del 90% della commedia italiana attuale – che pochissimi autori contemporanei hanno.

 

Due; non è vero che non siamo stati tentati di mettere dentro alle nostre proposte, qualche bella commedia e prenderci un po’ di respiro, tra un dramma e l’altro. Prova ne sia il film che vi proponiamo questa settimana, in cima alla lista da un po’ di tempo e che ora trova giusto incastro in questo veloce excursus sul cinema ‘estivaliero’.

 

Qualcosa di ‘carino’ (termine odioso ma gettonatissimo, quando si parla di tragi-commedia filmata) che ha antefatti d’autore semidimenticati (gli scandinavi “Monica e il desiderio” di Bergman, ed il bellissimo “En karlekshistoria” di Roy Andersson) e che si riallaccia – idealmente – al capolavoro firmato King/Reiner che risponde al titolo di “Stand by me” (anno di grazia 1986). Una lunga teoria di estati, di avventure, di passioni e di entrature nel mondo dei grandi che si dipana in cose altrettanto ‘carine’ come  “Una gita pericolosa” di Jeff Bleckner (con una quasi antipatica interpretazione di Kevin Bacon), “My summer of love”, “Un’estate da giganti “ di Bouli Lanners, per giungere a roba recentissima come “Spring breakers”, “Mektoub”, “Little sister” di Koreeda o al felice lavoro di Guadagnino nel suo “Chiamami col tuo nome”. E chi più ne ha, più ne metta. Questo “The kings of summer”, del regista e scrittore statunitense Jordan Charles Vogt-Roberts, sicuramente colpirà più di un cuoricino.

 

Buona domenica, buon’avventura ed al prossimo film!

 

Marco Bagarella

 

 

 

Dicono del film

 

“The kings of sum­mer” non è un film da but­ta­re; non sarà un’on­da­ta di no­vi­tà ma ha co­mun­que dei lati posi­ti­vi, che giu­sti­fi­ca­no la vi­sio­ne di que­sta pel­li­co­la senza do­ver­se­ne pen­ti­re. E a qual­cu­no po­treb­be anche pia­ce­re; e molto. Seb­be­ne a mio pa­re­re tutto ri­man­ga­ in­trap­po­la­to in una gab­bia di ov­vie­tà nar­ra­ti­ve che io non sono riu­sci­to a tra­la­scia­re, que­sto lun­go­me­trag­gio ha delle po­ten­zia­li­tà.

Il regista, alla sua opera prima dopo varie espe­rien­ze in qual­che serie TV non trop­po co­no­sciu­ta, è bravo e si vede, come si vede il suo amore spa­smo­di­co per il super slow che, tran­ne al­cu­ni ec­ces­si, ri­sul­ta apprezzabile. La fo­to­gra­fia, fa­vo­ri­ta da lo­ca­tion moz­za­fia­to, è ec­ce­zio­na­le. Gli at­to­ri tutto som­ma­to son bravi e un per­so­nag­gio in par­ti­co­la­re (il terzo ra­gaz­zo), in­ter­pre­ta­to da Moi­ses Arias (per chi ha la mia età il "rrrr­ri­co" di Han­nah Mon­ta­na) che è l’u­ni­co fuori dal coro degli ste­reo­ti­pi e fa fare un pic­co­lo salto di qualità alla sto­ria. Anche i per­so­nag­gi dei ge­ni­to­ri sono ben in­qua­dra­ti, ben in­ter­pre­ta­ti e di­ver­ten­ti. Poi c’è la co­lon­na so­no­ra. Che per me cam­bia il giu­di­zio di un film da cosi a cosi. Ma anche qui mi trovo in difficoltà. Can­zo­ni bel­lis­si­me, per­fet­te per il con­te­sto, ma che a volte però sem­bra­no es­se­re messe un po’ a caso, come a voler dire guar­da che belle can­zo­ni che co­no­sco e ho tro­va­to ma senza aspet­ta­re il mo­men­to giu­sto per met­ter­le.

In ge­ne­ra­le il film è piut­to­sto al­ta­le­nan­te. Al­cu­ne parti sono go­di­bi­li ed altre molto meno; e se la parte centra­le ri­sul­ta poco di­ge­ri­bi­le e coin­vol­gen­te, gli ul­ti­mi 20 mi­nu­ti sono di buon li­vel­lo. Per la fine mi tocca fare un leg­ge­ro ou­ting. Ho un de­bo­le per i fi­na­li di un certo tipo, non vo­glio fare spoi­ler quin­di non vi dirò di quale, fatto sta che il re­gi­sta, ruf­fia­no e scal­tro, de­v'es­se­re ve­nu­to a co­no­scen­za delle mie de­bo­lez­ze e qui con me ha fatto cen­tro, re­spin­gen­do anche le ba­na­li­tà della prima parte, ag­giu­di­can­do­si una sofferta sufficienza per un film di­scre­to che può es­se­re visto, ma che resta molto lon­ta­no da ciò che mi aspet­ta­vo da un film pas­sa­to al Sun­dan­ce e con un trai­ler che pro­met­te­va de­ci­sa­men­te me­glio.

(Alessandro Laganà)

 

 

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