Se c’è un appunto che mi son visto muovere, parlando con alcuni amici (reali e virtuali) sui contenuti della nostra rubrica settimanale, è che “Stalker” rifugge antipaticamente le ‘cose un poco sbarazzine’
Da questo inciso che rimarca l’oggettiva mancanza di commedie nel nostro palinsesto, all’accusa di presunta seriosità il passo sarebbe breve, in effetti. Sarebbe. Perché due cose mi venga concesso di dire.
Uno; la commedia è uno strumento cinematografico molto e troppo delicato, che permette di intersecare e miscelare i vari generi (da un incipit comico si può passare ad un finale mistery, passando per uno spruzzo di melodramma, a far d’esempio), ma presuppone una capacità di estraniazione/sublimazione grazie alla materia trattata – quello di prendersi troppo sul serio, sbracando dopo mezzora, è il difetto maggiore del 90% della commedia italiana attuale – che pochissimi autori contemporanei hanno.
Due; non è vero che non siamo stati tentati di mettere dentro alle nostre proposte, qualche bella commedia e prenderci un po’ di respiro, tra un dramma e l’altro. Prova ne sia il film che vi proponiamo questa settimana, in cima alla lista da un po’ di tempo e che ora trova giusto incastro in questo veloce excursus sul cinema ‘estivaliero’.
Qualcosa di ‘carino’ (termine odioso ma gettonatissimo, quando si parla di tragi-commedia filmata) che ha antefatti d’autore semidimenticati (gli scandinavi “Monica e il desiderio” di Bergman, ed il bellissimo “En karlekshistoria” di Roy Andersson) e che si riallaccia – idealmente – al capolavoro firmato King/Reiner che risponde al titolo di “Stand by me” (anno di grazia 1986). Una lunga teoria di estati, di avventure, di passioni e di entrature nel mondo dei grandi che si dipana in cose altrettanto ‘carine’ come “Una gita pericolosa” di Jeff Bleckner (con una quasi antipatica interpretazione di Kevin Bacon), “My summer of love”, “Un’estate da giganti “ di Bouli Lanners, per giungere a roba recentissima come “Spring breakers”, “Mektoub”, “Little sister” di Koreeda o al felice lavoro di Guadagnino nel suo “Chiamami col tuo nome”. E chi più ne ha, più ne metta. Questo “The kings of summer”, del regista e scrittore statunitense Jordan Charles Vogt-Roberts, sicuramente colpirà più di un cuoricino.
Buona domenica, buon’avventura ed al prossimo film!
Marco Bagarella
Dicono del film
“The kings of summer” non è un film da buttare; non sarà un’ondata di novità ma ha comunque dei lati positivi, che giustificano la visione di questa pellicola senza doversene pentire. E a qualcuno potrebbe anche piacere; e molto. Sebbene a mio parere tutto rimanga intrappolato in una gabbia di ovvietà narrative che io non sono riuscito a tralasciare, questo lungometraggio ha delle potenzialità.
Il regista, alla sua opera prima dopo varie esperienze in qualche serie TV non troppo conosciuta, è bravo e si vede, come si vede il suo amore spasmodico per il super slow che, tranne alcuni eccessi, risulta apprezzabile. La fotografia, favorita da location mozzafiato, è eccezionale. Gli attori tutto sommato son bravi e un personaggio in particolare (il terzo ragazzo), interpretato da Moises Arias (per chi ha la mia età il "rrrrrico" di Hannah Montana) che è l’unico fuori dal coro degli stereotipi e fa fare un piccolo salto di qualità alla storia. Anche i personaggi dei genitori sono ben inquadrati, ben interpretati e divertenti. Poi c’è la colonna sonora. Che per me cambia il giudizio di un film da cosi a cosi. Ma anche qui mi trovo in difficoltà. Canzoni bellissime, perfette per il contesto, ma che a volte però sembrano essere messe un po’ a caso, come a voler dire guarda che belle canzoni che conosco e ho trovato ma senza aspettare il momento giusto per metterle.
In generale il film è piuttosto altalenante. Alcune parti sono godibili ed altre molto meno; e se la parte centrale risulta poco digeribile e coinvolgente, gli ultimi 20 minuti sono di buon livello. Per la fine mi tocca fare un leggero outing. Ho un debole per i finali di un certo tipo, non voglio fare spoiler quindi non vi dirò di quale, fatto sta che il regista, ruffiano e scaltro, dev'essere venuto a conoscenza delle mie debolezze e qui con me ha fatto centro, respingendo anche le banalità della prima parte, aggiudicandosi una sofferta sufficienza per un film discreto che può essere visto, ma che resta molto lontano da ciò che mi aspettavo da un film passato al Sundance e con un trailer che prometteva decisamente meglio.
(Alessandro Laganà)
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