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16/05/2018 06:00:00

40 anni dopo, il torto che facciamo a Peppino Impastato

  Mercoledì scorso, 9 Maggio, la mia bacheca su Facebook è stata invasa da post di amici, conoscenti, lettori. Post bene o male tutti simili. L’immagine di Peppino Impastato, la scritta “La mafia è una montagna di merda”. Era infatti l’anniversario dell’omicidio di Impastato, ed era pure anniversario tondo: 40 anni. Come Moro, aggiunge solitamente il lettore più attento. Giusto. E anche come la Legge Basaglia e la chiusura dei manicomi, completo io. 

Senza Peppino Impastato e il suo martirio noi oggi non saremmo liberi di raccontare la mafia.
Senza Basaglia e tutti questi mattoidi in libertà le bacheche di Facebook sarebbero sole e desolate.

“La mafia è una montagna di merda” diceva Peppino Impastato. E ancora oggi ripetiamo questo slogan, c’è chi fa pure articoli dando del “pezzo di merda” ai mafiosi, convinti di fare informazione, di essere originali. 

Che peccato, che spreco. Peppino Impastato non era un giornalista, non aveva neanche la tessera. Era un intellettuale “alla siciliana”, formatosi su letture frenetiche, confuse, mai sazie e sempre disperate, su una rete di contatti che si era costruito nel grande fermento culturale degli anni ‘70, che aveva coinvolto anche la remota provincia di Palermo. Era uno che studiava e che creava, e che pensava. Come faccio a denunciare questa cosa innominabile ma che ho sotto gli occhi che è la mafia? Con i cartelloni in piazza, per spiegare il grande affare dell'aeroporto di Punta Raisi. E come faccio se magari mi sequestrano i cartelloni? Faccio una radio. L’aria non si può sequestrare.

“La mafia è una montagna di merda” non è una cosa buttata là, giusto per insultare. E’ una cosa pensata, voluta, studiata. Che richiedeva a Impastato il coraggio di tre leoni: il reato di mafia non esisteva nel codice penale, pensate, verrà introdotto solo nel 1982;  Cinisi, la città di Impastato, era sotto il controllo di Tano Badalamenti, boss della droga; il padre stesso di Peppino era mafioso. “La mafia è una montagna di merda” vale, mutatis mutandis, quanto “Ce n’est qu’un debut” del Maggio francese e del mondo in rivolta , o - non fate smorfie - l’epocale “La Corazzata Potenkim è una cacata pazzesca” di Paolo Villaggio nel secondo film di Fantozzi, che infatti è contemporaneo a Impastato è del 1976.

Povero Peppino. Lui che era un anticonformista,  che maneggiava con scaltrezza denuncia e satira, ed è stato ridotto ad immaginetta, ad Ecce Homo d’accomodo per un’antimafia ridotta a slogan. 
40 anni dopo ancora ripetiamo le frasi di Peppino Impastato (come vale per Falcone, Borsellino e gli altri), come una litania, incapaci di pensarle noi, frasi adeguate per descrivere la mafia che cambia, la nostra contemporaneità. E non ci fa più neanche specie che anche Totò Cuffaro fece fare i manifesti con scritto: “La mafia fa schifo”. Tanto vale citare pure lui, no? E non è un caso che nascano i casi di Silvana Saguto, come di Antonello Montante: perchè l'antimafia che faceva Peppino era stracciona e creativa, quella che abbiamo oggi è declinazione di potere. Radio Aut faceva “controinformazione”, trasmetteva parole, senso. Oggi invece abbiamo ridotto tutto a coro da stadio.

Era intellettuale complesso e affascinante, Peppino Impastato. Ne abbiamo parlato mercoledì scorso a Marsala in una conferenza organizzata dal sempre inquieto Massimo Pastore. C’erano poche persone, ed è per questo che è stata una bella cosa. Ormai ho capito che bisogna essere tra pochi per poter ascoltare pensieri autentici, cose profonde. E così è stato quel pomeriggio. 
Pastore, omen nomen, è riuscito poi a mettere accanto me e Salvatore Inguì, il coordinatore provinciale di Libera. Ci vogliamo bene, ma da quando ho scritto “Contro l’antimafia” (forse anche da prima), tra noi c’è, diciamo, una certa elettricità. E invece quel pomeriggio abbiamo parlato, detto cose non banali, anche intime (peggio per chi non c’era, non faccio riassuntini…) e poi c’era la proiezione dei Cento Passi. L’abbiamo visto infinite volte, io e Salvatore Inguì, quel film lì, che è un must dei cineforum a tema mafia (come la Potenkim, verrebbe quasi da dire...) di ogni ordine e grado, e avevamo impegni, e invece siamo rimasti, a vedercelo, ancora una volta. 
E si vede in una scena Peppino Impastato che legge Majakovskij, e poi cita dei versi di una sua poesia, “esci partito dalle tue stanze / torna amico dei ragazzi di strada”, e io pensavo che pena, povero Peppino, una vita così complessa, ridotta a slogan. Perché nessuno ha mai colto l’occasione per dire ad esempio, e parafrasare: esci, antimafia, dalle tue stanze? 

E Peppino Impastato oggi avrebbe 70 anni e guarderebbe con ansia al primo governo populista d’Europa che sta per nascere in queste ore. E non sa che molti che urlano i suoi slogan sono gli stessi che hanno voltato le spalle alla complessità e si rifugiano negli algoritmi e, che usano le vittime della mafia, i loro parenti, le loro storie, per costruire carriere politiche, le associazioni antimafia per sfornare parcelle come suo padre faceva le pizze, perché a tutti questi basta dire “la mafia è una montagna di merda”, per sentirsi appagati, per fare una carriera, per non chiedersi altro. 

Giacomo Di Girolamo