Accogliendo l’istanza della difesa, la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani (presidente Daniela Troja) ha revocato il sequestro dei beni immobili e dei conti correnti intestati alla 54enne mazarese Francesca Maria Lanza, ex moglie di Salvatore Asaro, di 58 anni, che nel luglio 2013, con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, rimase coinvolto (insieme ad altri due mazaresi: Salvatore Alario, che adesso ha 25 anni, e Umberto Sisia, di 61) nell’operazione antimafia dei carabinieri di Palermo “Alexander”.
Un’operazione che azzerò il potente “mandamento” palermitano di Porta Nuova. Nel processo che ne seguì Salvatore Asaro è stato condannato a quattro anni e 4 mesi di carcere.
E lo scorso febbraio la Cassazione ha sostanzialmente confermato la sentenza, anche se per Asaro e altri imputati ha annullato “con rinvio” ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo solo per procedere al ricalcolo della pena.
I beni dissequestrati (valore stimato: circa 250 mila euro) sono una villa di 11 vani in via America snc/via Bulgaria 6 e un terreno sul quale è stato impiantato un vigneto, nonché sette conti correnti aperti alla Banca di Credito cooperativo “G. Toniolo”, di cui Asaro era contitolare o con delega ad operare e certificati di deposito e buoni fruttiferi postali. Il sequestro, ai fini della confisca, dei beni di Salvatore Asaro e dell’ex moglie Francesca Maria Lanza (la coppia ha divorziato) era stato decretato dallo stesso Tribunale di Trapani lo scorso 3 ottobre sua proposta della Procura della repubblica di Palermo. A supporto della richiesta, la Procura del capoluogo dell’isola aveva prodotto le sentenze di condanna dell'Asaro. Il provvedimento aveva riguardato anche i beni dell’ex moglie perché si riteneva che fossero, comunque, nella disponibilità di Asaro, per il quale è stata disposta anche la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Ad assistere Francesca Maria Lanza è stato l’avvocato marsalese Salvatore Errera, che sostenendo “l’infondatezza delle richieste avanzate dalla Procura” ha prodotto una notevole mole di documenti per dimostrare che i beni sequestrati non sono frutto di illeciti guadagni. Il ruolo di Salvatore Asaro (ma anche di Umberto Sisia, condannato a 10 anni) risalta nel filone delle indagini sul traffico internazionale di stupefacenti. Asaro e Sisia, definiti dagli inquirenti “narcotrafficanti della criminalità organizzata mazarese”, come emerge da alcune intercettazioni, hanno avuto contatti, per l'acquisto della droga, rispettivamente con persone del Sudamerica, per importare cocaina, e della Tunisia per importare hashish. In una conversazione Salvatore Asaro esterna a un sudamericano l'intenzione di creare un canale di importazione tanto vasto da poter rifornire l'intera Sicilia. "Mi ascolti? – dice Asaro - Qui non c'è più tempo di scherzare. Se dobbiamo lavorare, lavoriamo. Io mettiamo sono il responsabile di tutto. Ci siamo? Ho detto due parole, vuoi la Sicilia ti do la Sicilia, perché sono in grado di dartela”. L'indagine consentì ai carabinieri di accertare che, oltre a Mazara, anche Marsala era divenuta un importante canale di smistamento della droga al di fuori della provincia di Palermo. In un’altra intercettazione, si sente Asaro che chiede a un suo amico palermitano di procurargli una pistola perché temeva di essere ucciso (“Allerta e ferri da stiro mi servono. Qualche giorno di questi mi ammazzano. Vengo domani. I colpi ci sono?”). Dopo l’arresto, Salvatore Asaro decise di iniziare a collaborare con la giustizia e per questo è stato sottoposto a programma di protezione. Adesso, vive in una località del nord Italia.