Non si è ancora fatto mezzogiorno quando uno dei tanti temporali a cui questa città ci ha ormai da decenni abituato si abbatte su Genova. La pioggia fitta offusca la Lanterna, irraggiungibile alla vista come le navi nel porto. "Pioggia benedetta!" avranno pensato tanti genovesi dopo giorni e giorni di maccaia, di caldo asfissiante. Finalmente anche per me è tempo di aprire porte e finestre per rinfrescare la casa, sbrigare le ultime faccende domestiche approfittando della ritrovata frescura ed intanto ingannare il tempo aspettando che si faccia sera e prendere quel volo che mi riporterà ancora una volta nella mia Marsala.
Il percorso è sperimentato ormai da anni. Lo svincolo autostradale di Genova Ovest è vicino, si attraversa il Viadotto sul Polcevera, una breve galleria e l’uscita di Genova Aeroporto ti catapulta nell’attesa del tuo volo. Pochi centesimi di tratto autostradale in parte percorsi su un ponte che sembra sospeso nell’aria, il Ponte Morandi, una mostruosità dell’ingegneria umana, una mostruosità di cui ti rendevi conto solo quando ci passavi sotto e alzando lo sguardo notavi quelle campate così imponenti. Mi faceva paura quel ponte quando lo vedevo dalla zona di Campi. Lo avevo percorso domenica sera di ritorno da Alassio dove avevo trascorso la giornata alla ricerca di una delle poche spiagge pubbliche facendo nel frattempo da cicerone a distanza a un collega genovese che si trova in vacanza proprio a Marsala.
Mentre viene giù il diluvio sento le sirene di alcuni mezzi di soccorso. Il pensiero va subito ai giorni tristi delle alluvioni e alla sensazione che qualcosa sia di nuovo accaduto. Ma non voglio credere che sia così. Ed è proprio il mio collega che da Marsala mi riporta alla realtà: mi informa che è crollato il Ponte Morandi. Al tg1 danno la prima edizione straordinaria. Il pensiero va subito a miei parenti che mi aspettano a Marsala. Li chiamo e li tranquillizzo che sto bene. Non sanno nulla di quanto è successo e sono contento di averli informati. Da un lato l'istinto giornalistico mi porta ad andare a vedere di persona quanto accaduto ma stavolta è il senso civico a prevalere. Continua a piovere e la Protezione Civile invita a non muoversi di casa, a non andare nella zona della tragedia per non rallentare i soccorsi.
Mi incollo alla TV! Le immagini dei Tg nazionali già trasmettono l'angoscia di quei genovesi che hanno visto il viadotto sul Polcevera sbriciolarsi come un biscotto savoiardo inzuppato di caffè. Qualcuno comincia già a parlare di accertamento delle responsabilità. La daranno magari alla pioggia o a un fulmine che con la potenza devastante di un missile avrebbe troncato uno dei piloni che regge il ponte. Non regge. Poco importa. Non doveva accadere. Un ponte non può crollare per un evento atmosferico. In quel viadotto periodicamente si effettuavano lavori di manutenzione. Si cominciano a contare i morti. Come sul Fereggiano. Ed intanto continua a piovere.
I TG nazionali dell'ora di pranzo aprono con la tragedia di Genova ed è allora che pensi che questa città è condannata ad essere in prima pagina ogni volta che piove. O quando il troppo caldo e la maccaia danno alla testa di alcuni…come nel luglio del 2001. Un messaggino della compagnia aerea mi avvisa che "a causa di un'interruzione sul tratto di strada direzione Aeroporto di Genova, consigliamo a tutti i passeggeri di recarsi con largo anticipo in aeroporto". Mi colpisce la parola interruzione. Molto soft. Rivedo invece nella mia mente l'immagine cruda del viadotto tagliato in due, del furgoncino di un noto supermercato genovese fermo a pochi metri dall'abisso, penso a quell'autista, forse impegnato a far delle consegne, cosa deve aver visto. La strada che crollava davanti a sé. Quel furgoncino di fronte al baratro è l'immagine simbolo di questa tragedia.
E penso all'interruzione brusca e improvvisa di quelle vite che non sono riuscite a superare quel ponte o a fermarsi prima. Penso che ognuno va incontro al proprio destino, penso a un altro mio collega che aveva attraversato quel viadotto appena un'ora prima, penso a quelle volte che, percorrendo il Ponte Morandi nel tardo pomeriggio in direzione Aeroporto, vedevo la lunga fila di auto e di tir provenienti dalla riviera di Ponente, dalla Francia e dalla A26, fermi sulla corsia opposta, in coda, in attesa di raggiungere l'uscita di Genova Ovest per imbarcarsi sui traghetti per la Sicilia, la Sardegna, la Tunisia per le vacanze o per lavoro. Vedevo spesso quelle lunghe code di auto, quelle targhe milanesi, piemontesi, svizzere e tedesche che nascondono la realtà dei tanti siciliani emigrati.
Fosse capitato di sera con il traffico delle vacanze proveniente da tutto il nord Italia, e dal nord Europa la tragedia avrebbe potuto assumere proporzioni ancora più catastrofiche. Si diventa fatalisti quando capitano tragedie di questo tipo. Il numero delle vittime è destinato a salire di ora in ora. Aspetti di sapere i nomi e cognomi sperando che non ci sia nessuno di tua conoscenza. Perché il Ponte Morandi veniva attraversato ogni giorno anche dai genovesi che si spostano da ponente verso levante e viceversa. Ci si poteva immettere in autostrada a Genova Voltri, by-passare il traffico cittadino passando per il Ponte Morandi ed uscire in pieno centro a Genova Ovest o svoltare a destra, poco prima che il viadotto finisse, e proseguire per Genova Est e Genova Nervi in direzione Livorno.
"E Andiamo a Genova coi suoi svincoli micidiali” …cantava Francesco De Gregori. E lo sono davvero. Da Genova Est un ponte a spirale che scende verso il basso ti porta in zona Stadio ma se non dosi correttamente l’acceleratore rischi di volare sotto, dritto dritto sul cimitero di Staglieno. E Amen! A Genova Nervi il panorama da un altro ponte che corre giù è addirittura bellissimo. Rimani come sospeso in aria tra il blu del mare davanti a te e il verde delle colline del levante genovese alle tue spalle. Vorresti fermarti a scattare qualche foto ma sai che non puoi e alla fine tiri un sospiro di sollievo quando arrivi al casello. E ti rimangono curve nella memoria.
È pomeriggio inoltrato. Sono quasi le sei. Devo prendere una decisione. Andare all'aeroporto in bus o in auto. Controllo il traffico su Google Maps. Il tratto del Ponte Morandi è tratteggiato, segnato con le icone del divieto di accesso. Sull'Aurelia il percorso segna ben 40 minuti e coda. Opto per il bus che “mal che vada scendo e me la faccio a piedi”.
Esco da casa con quasi tre ore di anticipo. Ha smesso di piovere. Eccolo di nuovo quel sole beffardo che sembra riportare tutto nella normalità. Rispunta in cielo dopo ore di pioggia e di nuvole. Sembra avvisare che tutto è finito. Come dopo le alluvioni. Ma è un sole amaro. Ti lascia nel cuore un profondo senso di tristezza. Un "magone", lo chiamano a Genova. La tristezza di una città ancora una volta ferita. La consapevolezza che quanto successo si sarebbe potuto ancora una volta evitare. Come dopo Via Fereggiano. Quasi un senso di rassegnazione pervade il mio animo.
Alla fermata del bus si ferma un tassista: "Per 10 euro ti porto in aeroporto - esordisce lui - "Ne pago 6 col bus” ribatto io che a Genova ho imparato a mercanteggiare. "Ciao!" mi dice lui e fa per andarsene ma viene subito fermato dal rosso di un semaforo. Lo vedo fare marcia indietro: "Ok andiamo per 6 euro che tanto devo comunque andare in aeroporto!" In taxi parliamo solo del crollo del Ponte Morandi. Lui si è svegliato da poche ore che ha fatto il turno di notte e sembra avere appena ripreso servizio. Mi trasmette lo stesso senso di rabbia, amarezza e rassegnazione che provo io. Ma è lì a fare il suo lavoro. È come una forma di ammirevole caparbietà, solidarietà e simpatia che si crea tra i genovesi nella disgrazia e che li porta a mettere da parte il loro proverbiale mugugno e ad andare avanti, a rimboccarsi le maniche uniti e solidali. Riescono a soffocare il sole amaro e beffardo dentro di sé con il lavoro, affrontando da subito le emergenze per superarle in poco tempo. Solo così si possono spiegare gli Angeli del Fango dopo le alluvioni. O la capacità di risorgere dopo i fatti del G8 o nei periodi degli anni bui del terrorismo. I genovesi sanno fare squadra, affrontare le emergenze, uscire dalla crisi e continuare a vivere. "Ricominciamo!" sembra essere il loro "motto", magari ritornando a mugugnare.
Il tassista mi racconta di tutte quelle volte che per lavoro ha attraversato il viadotto sul Polcevera, di quando rimaneva fermo in coda sul ponte in balia del vento. "Quando c'era vento forte il ponte oscillava!" mi dice con la voce ancora un po' impastata dal sonno. I tassisti di Genova lo percorrevano migliaia di volte quel ponte andando e tornando dall'aeroporto. Come formiche lo attraversavano con le loro auto per poi magari dover vincere anche le strade strette e ripide che salgono sulle alture Genovesi di Oregina o di Quezzi. Dove gli autobus non riescono ad arrivare arrivano loro. Quasi eroici, pazienti ed encomiabili. Ora per fare il loro lavoro dall’aeroporto dovranno percorrere l'Aurelia, la nuova
Strada a Mare “Guido Rossa” o il centro di Cornigliano tra l'Ilva, le scuole di piazza Massena, un centro commerciale e i varchi dei terminal container del porto dove da sempre si creano lunghe code di tir. Sarà una bolgia con la riapertura delle scuole e degli uffici. In quelle zone si riverserà tutto quello che è stato il traffico autostradale tra le due riviere.
Arriviamo in aeroporto. Il "mio" tassista scende subito dall'auto per andare a parlare con i suoi colleghi poco più avanti. Sembra del tutto disinteressarsi ai 6 euro tanto che potrei andarmene senza pagare. Lo inseguo e glieli porgo io ringraziandolo. Capisco che è concentrato nel suo lavoro, forse sta pensando già al percorso di ritorno. Al fatto che il ponte Morandi non farà più parte della sua vita, alla vita di tutti i genovesi. Mentre entro in aeroporto rivolgo un ultimo sguardo dietro di me. Alla città ferita. Rivedo per l'ultima volta quel sole beffardo che adesso illumina le colline intorno al “Cristoforo Colombo”. Cerco di addolcire la mia mente e il mio cuore pensando che presto sarò a casa a Marsala e davanti a me vedrò l’isola di Mozia, sentirò ancora una volta il profumo del sale. Ma è inutile. Una volta che entra ti rimane dentro per giorni. E’ il sole genovese dopo ore di pioggia, dopo che la tragedia è finita. Anche adesso che ammiro la suggestiva bellezza dello Stagnone di fronte a me e l’imponenza dell’isola di Favignana. Sole amaro.
Marcello Scarpitta