Come esergo ha una scritta presa da un muro del manicomio di Agrigento: «Non tutti lo sono, non tutti ci sono». Negli anni è diventato un libro-cult, che ha tanto suggestionato l'immaginario collettivo da costituire un suo genere letterario.
Oggi ne esiste uno anche per Roma, per Bologna, Milano, Torino e un'altra decina di città grazie ad un progetto editoriale di cui si occupa Paolo Nori. Stiamo parlando dell'ormai introvabile Repertorio dei pazzi della città di Palermo di Roberto Alajmo che finalmente ritorna in libreria, il 22 novembre, stavolta nella nuova veste della collana «La memoria» della casa editrice Sellerio.
Sono pagine che tracciano una cartografia umana la cui insania non denota lo stigma di ciò che è diverso, ma è la stravagante essenza su cui si rifonda quotidianamente lo spirito della città.
Nell'attesa della nuova edizione, e aiutandoci con la passata, riscopriamo, rileggendoli, alcuni di questi pazzi.
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Uno si chiamava Ettore, e stava ore e ore in gabinetto. Fino a quando la madre non gli urlava: «Ettore, scippati di 'ddocu!».
Poi diventò grande e sua madre si stancò di gridare da dietro la porta. Ettore però non sapeva mai calcolare il tempo giusto per stare in gabinetto. Quindi dopo un poco si faceva prendere dall'ansia ed era lui a chiedere da dentro: «Mamà, mi scippo sì o no?».
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Uno era il professore Ascoli, medico di fama. Quando si trovava ad affrontare un caso clinico particolarmente delicato, gli capitava di sospendere la visita, lasciare il paziente in mutande nel suo studio e andare a fare una passeggiata in bicicletta per riuscire a riflettere meglio. Poi tornava e non sbagliava mai diagnosi.
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Uno era di Marineo. Lo chiamavano Ciro Chiuraè perché sapeva sempre che ore erano, anche se non possedeva un orologio. Stava fermo in mezzo alla piazza e i compaesani gli chiedevano:
«Ciro, chi ura è?».
Lui rispondeva rapidamente:
«Le menzojornu».
Indovinava sempre.
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Uno era un deputato regionale che rifiutò un aumento di un sacco di soldi perché diceva che era immorale.