di Giacomo Di Girolamo - Conosco poco la storia di Cesare Battisti. Un "poco" che è un "tantissimo" rispetto a quello che mediamente si sa in giro. Avrei pertanto, secondo la facoltà di Facebook, il titolo di dottore in criminologia e storia dell'Italia del dopoguerra (con monografie su estradizione internazionale), per dire la mia sull'arresto del territorista, ieri arrivato in Italia dopo essere stato preso in Bolivia, mentre era in fuga dal Brasile che per anni lo aveva protetto.
Potrei dire la mia, ma non ho un'opinione chiara sulla storia di Battisti, a parte il fatto che sia un criminale. E quindi, non parlo.
Parlo, però, d'altro. Ancora una volta, in questa come in altre vicende, assisto ad una cosa che mi preoccupa: il rancore che si sostituisce alla ragione. La vendetta che si sostituisce alla giustizia. Abbiamo consentito che l'arrivo di un criminale diventasse occasione per la diretta Facebook dei ministri Salvini e Bonafede. Il primo si è anche augurato che Battisti "marcisca in galera", cavalcando così, ancora una volta, tutti i peggiori istinti, alla faccia della storia, e del senso di giustizia. Tutto è trasformato in show, in slogan, nella campagna elettorale perenne in cui viviamo.
Rimane, rispetto a questa deriva, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che dice parole giuste, poche, in cui c'è tutto, anche un'idea di Stato oggi messa alla berlina da chi ci governa. Sono due righe di comunicato stampa, a poche ore dall'arresto di Battisti: "Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso la sua soddisfazione per l'arresto in Bolivia del latitante Cesare Battisti. Mattarella si augura che Battisti venga prontamente consegnato alla giustizia italiana, affinchè sconti la pena per i gravi crimini di cui si è macchiato in Italia e che lo stesso avvenga per tutti i latitanti fuggiti all'estero".
Ancora una volta, grazie Presidente.
Il Presidente #Mattarella ha espresso la sua soddisfazione per l’arresto in #Bolivia del latitante #CesareBattisti pic.twitter.com/nOJowMWz8V
— Quirinale (@Quirinale) 13 gennaio 2019