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03/02/2019 06:00:00

Applausi folli e deliranti folle

Oggi ho deciso di aprire il mio Diario con le parole di un caro amico, Luigi P., che mi scrive da Castano Primo, in provincia di Milano.

Il motivo è semplice: martedì sera mi capitò di assistere a una decina di minuti del programma televisivo diretto da Giovanni Floris, e ne provai disgusto e rabbia.

Per la stessa ragione che Luigi spiega in modo assai chiaro nel suo messaggio che qui brevemente riassumo:

 

“Caro amico mio, una curiosità mi tormenta, le rare volte che guardo per qualche minuto uno show politico alla tv, interessato per la presenza di qualche personaggio di spicco. A sconcertarmi è la presenza di un pubblico che applaude sempre e comunque. Agli sproloqui di un politicante o alle analisi sensate di un saggio. Ed è sorprendente che non si tratti di pubblico diviso che applaude ora all’uno ora all’altro. No, sono le stesse persone che applaudono chiunque con frenesia compulsiva. Persone senza dignità! Si spera almeno si tratti di gente pagata. Insomma nessuno si rende conto che il format, quand'anche condotto con professionalità e dovizia di presenze risulta svilente nei fatti?

Un abbraccio, Luigi”

 

Che altro si può aggiungere al giusto sdegno del mio amico lombardo? Forse una cosa, direi: che il desolante spettacolo di quegli applausi sconsiderati appare come un simbolo perfetto del disorientamento, della confusione mentale e morale in cui una parte cospicua del nostro popolo è caduta da tempo, in questo clima di grida rabbiose che annebbiano la ragione fino ad annullare le differenze di opinione nella nube spessa di un caotico polverone.

Si cominciò ai tempi di Tangentopoli, nei primi anni 90, con l'esaltazione di una retorica verbale gonfia di iperboli e di insulti. Io scrivevo allora per un grande quotidiano nazionale. Ricordo che il mio direttore – figura leggendaria del giornalismo italiano – fu messo in croce e liquidato all'improvviso dall'editore con la suprema accusa di “usare il fioretto” nel criticare gli avversari politici, mentre il modo migliore sarebbe stato, secondo quell'editore sciagurato, quello di usare la scimitarra o la clava. Su una rete privata televisiva imperversavano gli insulti feroci e triviali di Vittorio Sgarbi. Si affermava nei dibattiti il “dovere dell'aggressività”, si sbeffeggiava il “politicamente corretto”, e al posto del mio garbato direttore fu ingaggiato una specie di pirata che cominciò subito a sparare sulla prima pagina del giornale enormi titoli di una brutalità – e spesso di una mendacità – a dir poco sconvolgente. Nel giro di poche settimane quel grande quotidiano, raro esempio di cultura liberale e moderata, si trasformò in un foglio di partito velenoso e sguaiato.

Ebbene, io credo che proprio in quegli anni abbia avuto inizio l'imbarbarimento “populistico” del clima politico italiano. Poi arrivarono internet e i social, e fu il colpo di grazia. Il disastro completo. Volgarità, menzogna, minacce e violenza verbale presero il sopravvento definitivo. Così oggi viviamo in questo clima becero e inquinato, dove le competenze e la cultura vengono disprezzate, dove lo strepito delle ingiurie sommerge le voci ragionevoli e pacate, distogliendo i cuori e i cervelli dalla ricerca della verità. Dove la voglia di urlare la propria sottomissione all'uomo forte del momento può tradursi in un ritorno delle oceaniche folle in delirio sotto il balcone del potente (ma stavolta le piazze sono quelle virtuali dei social). Dove può accadere che uno stesso pubblico, stordito dalle frasi ad effetto della retorica faziosa, finisca per applaudire tutto e il contrario di tutto, senza nemmeno sapere il perché.

 

Sélinos