di Domenico Cacopardo -
Solo chi conosce di persona Giuseppe (Pippo) Digiacomo può non stupirsi di questo «Pettine bello», una storia corale dei personaggi che hanno animato il palcoscenico di vita chiamato Comiso. Gli altri, il pubblico, lo conoscono per l’attività politica di tutto rispetto, prevalentemente svolta nel triangolo Palermo-Ragusa e, appunto, Comiso, a livelli significativi certo, ma non quanto sono significativi alcuni dei tanti risultati conquistati dall’autore per i suoi concittadini. Fu investito dal ciclone Kosovo, il biblico (un altro, ma «gestito» con efficacia dal governo D’Alema) trasferimento di 15.000 profughi della guerra tra serbi e albanesi/kosovari e, poi, tra le potenze Nato e Belgrado, e allocati nel compound comisano della base abbandonata dagli americani dopo il disarmo dei missili Cruise. Digiacomo, sindaco pro-tempore, riuscì a limitare i danni, a canalizzare i sentimenti umanitari della sua popolazione e a ottenere che, una volta risolto il problema con il ritorno degli sfollati nelle loro case, l’Italia, con il concorso finanziario dell’Unione europea, avrebbe trasformato il sito in un aeroporto idoneo al traffico internazionale. E non è tutto, vista la guerra aperta scatenatagli contro dalla Provincia di Ragusa, dall’establishment exdemocristiano e da militanti, anche allora vivi, vivaci e deleteri, del partito del non fare. Non sa il grande pubblico che Digiacomo, laureato in lettere a Milano, è stato segretario della Fondazione Montale e che di suo, nel background del politico, nutre un «côté» umanistico e letterario. Un seme tutto comisano, visto che di Comiso fu Gesualdo Bufalino, suo amico personale e di famiglia.
Ebbene, licenziando alle stampe «Pettine bello», Digiacomo è riuscito a coniugare i fattori di universalità che albergano in ogni piccola comunità, lontano 1000 miglia da una «maniera» di colore macchiettistico, mediante il racconto immaginifico e vivace della gente del suo paese (e del paese stesso, di cui emergono di continuo scorci affascinanti) e il «sentiment» siciliano, fatto di sensualità incomprimibile, di amore per la terra propria e di culto dell’onestà intellettuale, prima del resto.
In fondo, una storia unitaria, animata dalla presenza dei nonni dell’autore, emigrati in America e tornati al paese arricchiti soprattutto - se non esclusivamente - di esperienza duramente sudata. Dalla presenza fisica, quasi persone della storia, di due cinema (uno del nonno, l’altro di un rivale), terreno di scontro e di confronto tra due gusti diversi, tra due filoni non meticciabili (per l’ostilità dell’avo nei confronti della Titanus, il distributore monopolista o quasi del mercato), sino allo scontro finale in una sera nella quale uno dei due gestori trionferà. Ovviamente, Gesualdo Bufalino appare vigorosamente con la sua specifica umanità e qualche tic: come quando Digiacomo a prima ora l’accompagna a Ragusa per comprare i libri liquidazione di antico esercizio. Tenero è l’approccio nei confronti di Bufalino, di Salvatore Fiume - giunto al pennello attraverso i casi fortunati della vita - e del cantante siculo-belga Adamo.
Un libro godibile, scritto in bello stile, da far girare in Sicilia e fuori di essa, a conferma e ristoro di una facoltà, tutta isolana, di essere nel ristretto habitat della marginalità geografica e, al contempo, di spaziare nel mare infinito dell’universalità.
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