L'arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro. Vasilij Kandinskij
“Vito Libero Linares o l’arte di pensare” è il titolo della mostra che l’Ente Mostra di Pittura Contemporanea “Città di Marsala” dedica al pittore Vito Linares (scomparso nel 2017). Si tratta di una retrospettiva delle opere dell’artista marsalese. La mostra sarà inaugurata alle ore 17,30 del 23 febbraio e resterà aperta fino al 28 aprile 2019. L’iniziativa vuole onorare l’opera e la memoria dell’artista; un’artista, il pittore Vito Linares che, scomparso prematuramente, si ricorda, ha tenuto interesse, produzione e passione artistica costantemente accesi. Una spinta creativa che non ha mai disgiunto dall’attenzione per gli eventi pittorici (e protagonisti) che hanno attraversato e interessato la sua Città, Marsala.
Quando si parla di arte a Marsala o di artisti marsalesi, nella nostra memoria scorrono infatti i nomi di Nicola Virzì, Gino Cavarretta, Germana Parnykel, Matteo Giacalone Virzì, Tano De Simone, i fratelli Farina, Giovanni Enzo Zerilli e, naturalmente, quello di Vito Linares.
A questi, oggi e per inciso, è doveroso aggiungere, anche, Gero Sicurella, figlio adottivo della Città, scomparso nel 2018, a cui l’Ente Mostra di Pittura Contemporanea “Città di Marsala” dovrebbe, in un prossimo futuro, pensare sicuramente ad una mostra.
Vito Linares, “provocatore nato e gran rompiscatole” (Katia Regina), “spigoloso e puntuto” (Gabriele Civello, dal Catalogo dell’artista 1974-2030), sicuramente è stato, negli anni 70-fine anni 90, un “delicato poeta della tavolozza” (Alfredo Entità) e un grande e generoso organizzatore di eventi e sodalizi artistici (il primo a cui ho dato anche il mio contributo è stato il Centro Arti Visive di Piazza Loggia).
Insieme, inoltre, abbiamo realizzato diverse mostre in Provincia e, nel 1985, addirittura, abbiamo presentato le nostre opere individuali come “unità artistiche”, il risultato di un intervento e di una ricerca comune. Poi, per motivi diversi, le nostre strade si sono divise ma, anche se a distanza, ho continuato a seguire il suo percorso artistico.
Per un lungo periodo è stato un raffinato pittore surreal-metafisico, le prospettive dechirichiane e gli oggetti e i cieli magrittiani erano gli strumenti idonei per presentificarci il suo “sarcasmo” e il suo “ gusto dell’assurdo”, una ricerca continua verso “verità irraggiungibili” (Aldo Gerbino). Le opere di questo periodo raggiungono una “perfezione stilistica” non indifferente; una cura cioè “che non è mero formalismo, ma […] essenziale […] ricerca del pensiero perché esso diventi discorso e narrazione” (G.A. Ruggeri).
Successivamente la sua ricerca si nutre degli insegnamenti neoplasticisti di Piet Mondrian, si fa più geometrica, astratta, il colore cessa di essere sfumato. Nascono, così, le “gabbie” e /o “griglie”, i “frammenti” che, essendo tali, sono incompleti e rivendicano l’attenzione attiva/fattiva del fruitore per cessare di essere ciò che sono nella loro incompletezza.
Negli ultimi anni del ‘900, abbandona pennelli e colori per dedicarsi completamente alla Computer Art, inizialmente utilizzando gli stessi schemi visivi, poi, via via, sempre più informali.
I primi lavori digitali creati dal Nostro, infatti, non sono altro che i suoi collages e i suoi dipinti realizzati con il computer. Con gli anni, poi, è riuscito a mettere nelle sue opere “tutta la sua esperienza, la sua folle saggezza, tutta la sua vita di sperimentatore cromatico e delle forme” (Sal Giampino).
Nella sua ultima personale, tenutasi presso la Chiesa di S. Pietro (2015), dal titolo “Unicuique Suinum”, riconferma il suo essere contro: contro una società omologata e contro il cibo spazzatura. Visitando questa mostra, scopro un altro Linares. “Ogni opera é simile all'altra” solamente nel colore e nella tecnica espressiva ma ogni tela è diversa, unica (J.J. Rousseau direbbe: “Simile come te. Non somiglio a nessuno”). Nell’esecuzione di queste opere la sua pittura si fa gesto. Al supporto digitale, Vito, infatti, fa s-gocciolare (dripping) il colore sulla tela; e ciò non per creare caotici intrecci di linee e macchie colorate con una totale assenza di organizzazione razionale (come Jackson Pollock), ma per creare, di volta in volta, figure, volti, composizioni, grovigli.
Non c’è niente di improvvisato nella sua ricerca dall’inizio fino alla fine. All’interno di un modello che pensa e vive il tempo, crediamo, come una “contrazione” di simultaneità eterogenee (i “grovigli”), il nostro pittore, attento ingegnere del colore, ha razionalmente “progettato” infatti il tutto del suo fare pittorico: maestri, stili, epoche, tematiche e rielaborazioni personali.
Degli impasti, i grovigli, cosa non dire se non che vederli/leggerli come virtualità in tensione complessa!
Sono impasti/com-posizioni di superfici grafo-cromo-pittoriche creative che, in modo riflesso e mirato, hanno intrecciato, coagulandoli, il “domani” e l’“ieri” come il “qui e ora”: un passato-presente che è già futuro. Le tre dimensioni del tempo (pittorico, nel caso del Nostro) come un blocco di istanti artistici assoluti che non vogliono dividersi dal presente della propria vita; quel presente vivo “del pensare” che, come sembra (da alcune testimonianze indirette), non l’ha abbandonato come “linguaggio espressivo” artistico – l’in-formare – neanche nei duri momenti che hanno caratterizzato l’ultimo periodo della sua precoce scomparsa.
Vito, così, ha fatto di più; ha scritto la “storia del (suo) futuro” artistico (un'altra provocazione!) fino al 2030 (Vito Linares, Catalogo 1974-2030). Come dire che il pittore già sapeva quale doveva essere il cammino dei suoi prossimi quindici anni: un consapevole “futuro anteriore” presente; un qui e ora che ripete gli istanti dell’espressione artistica nel momento della com-posizione che compete ad ogni “artigiano” di mondi alternativi. E Vito Linares, sicuramente, fa parte di questa schiera di attori deliranti.
Nell’estate del 2016, dovendo organizzare un evento nel giardino di Megriffe in via San Rocco dal titolo “Ripensamenti”, mi ha proposto – “ripensando” alla nostra esperienza del 1985 (un ricordo a margine, ma non trascurabile) – di realizzare, ognuno con il proprio linguaggio, in estemporanea, una tela a quattro mani. Un’opera co-operativa che pensavamo di proporre al pubblico marsalese pensando oltre gli “assodati” individualismi che, in genere, sono propri a ciascun pittore? Per impegni (miei) e urgenze contingenti, la cosa non andò in porto. Ci promettemmo di farlo per l’estate successiva. Così, purtroppo, non è stato…
Questo, rimane il mio unico rammarico!
Giacomo Cuttone