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29/03/2019 06:00:00

Stagnone di Marsala, nell'800 la controversa storia del primo tentativo di acquacoltura

In queste ultime settimane la Laguna dello Stagnone di Marsala è stata al centro delle polemiche che riguardano il progetto di acquacoltura “Acqua.Sal” che dovrebbe impiantarsi proprio nelle acque dello Stagnone di fronte Villa Genna.

Da un lato c'è l'amministrazione comunale che ritiene che tutto sia perfettamente in regola e si stiano seguendo tutte le procedure di tutela della riserva, dall'altro, le richieste avanzate dal consigliere Daniele Nuccio sulla valutazione di compatibilità con il piano di gestione delle zone S.I.C e Z.P.S, sulla compatibilità con il regolamento della Riserva, e la Valutazione d'Incidenza Ambientale, quest'ultima richiesta effettuata anche da un gruppo di cittadini che, riuniti in un comitato, hanno inviato una richiesta agli enti istituzionali preposti a dare le risposte.

Sullo Stagnone è intervenuto sulle pagine di Tp24.it anche il biologo Silvano Riggio, uno dei massimi conoscitori ed esperti della Laguna, il quale ha detto che sarebbe un errore madornale, perché lo Stagnone, che è già un ecosistema estremamente fragile di suo, rischierebbe la fine con l'immissione di sali nutritivi in grande quantità, o peggio ancora di sostanze organiche. Il professore Riggio, tra l'altro, ha anche ricordato i diversi tentativi di realizzare impianti del genere nei decenni passati e in particolare negli anni '70 e '80, tutti falliti.  

Ma se questi sono i tentativi recenti, la storia dello Stagnone Marsala, dimostra che non è nuova a tentativi di sfruttamento delle sue acque, avvenuti anche già nei secoli precedenti. Questo il racconto, in proposito, dello storico Giovanni Alagna nel suo libro "Storia di Marsala".

Siamo alla fine dell'800 quando si iniziano a diffondere delle attività legate proprio allo sfruttamento del mare e delle sue risorse. La zona costiera settentrionale di Marsala, era caratterizzata dalla presenza di un gran numero di saline che occupavano un numero elevato di salinari. Verso la fine di quel secolo si ebbe un tentativo di sfruttare le acque dello Stagnone. Da parecchio tempo le amministrazioni comunali  nell'intendimento di rendere produttivo quel tratto di mare e di sviluppare l'economia del paese, avevano ordinato degli studi e avviato delle inchieste per individuarne il miglior modo di utilizzarne le acque. Studi speciali erano stati fatti nel 1864 da Nicola Chicoli e da Pietro Doderlein, per conto della Società di Acclimazione e di agricoltura in Sicilia, al fine di appurare la  possibilità di impiantare nello stagnone l'allevamento di ostriche e di pesci. Allo studio, nonostante il parere positivo degli studiosi, non aveva fatto seguito alcuna iniziativa. 

Nel 1899, a cura dell'assessore comunale Andrea Figlioli, fu fatto un secondo studio sull'argomento a cui fece seguito la decisione di cedere in affitto a un tale Nicolò Pecorilla, per la durata di quindici anni, una parte di quel mare perché vi impiantasse un allevamento di pesci e perché sperimentasse a sue spese l'ostricoltura e la mitilicoltura. La concessione prevedeva che il Pecorilla potesse chiudere con pareti di canne e pali le due bocche dello Stagnone, ma l'obbligava a non ostacolare il passaggio delle barche. Perfezionato il contratto, il Pecorilla chiuse le due estremità nord-ovest (bocca di San Teodoro) e sud-ovest (bocca di fra Giovanni) dello Stagnone, lasciando delle porte dall'una e dall'altra parte come previsto dal contratto.

Ma, prima che questi iniziasse l'allevamento di pesci, il senatore D'Alì, proprietario delle Saline Ettore Infersa, denunziò all'autorità giudiziaria il sindaco del Comune di Marsala e il concessionario Pecorilla, perché la chiusura, a suo dire, avrebbe ostacolato il passaggio delle barche delle saline.

All'epoca, la difesa del Comune di Marsala fu affidata al giovane avvocato Vittorio Emanuele Orlando, che poi divenne un famoso uomo politico. Nella difesa Orlando sostenne che lo Stagnone non essendo un mare territoriale, non era un bene demaniale dello Stato ma soltanto un bene comunale, del quale gli amministratori potevano liberamente disporre in virtù di possesso esercitato ab immemorabili.

Entrando nel merito delle lamentele del D’Alì, egli dimostrò che erano inconsistenti, perché il diritto di passaggio per le barche era stato rispettato e garantito. Il Tribunale di Trapani, con sentenze del 21 febbraio del 1903, ritenendo che il Comune di Marsala, pur avendo il diritto di pesca sullo Stagnone, avesse abusato di tale diritto, ordinò che si frapponessero ostacoli al passaggio delle barche e che non si rimettessero alle bocche predette le porte già predisposte.

Le chiusure erano già state rimosse perché il Pecorilla, non credendola più conveniente, aveva abbandonato l’iniziativa, ma il sindaco di Marsala dell’epoca – scrive Alagna - rappresentato dagli avvocati, onorevole Giuseppe Di Stefano e Giuseppe Fici, ritenne di ricorrere ugualmente in appello per salvaguardare i diritti delle città su quello specchio d’acqua. La Corte d’Appello di Palermo il 5 dicembre 1904 respinse l’appello e confermò la Sentenza del Tribunale di Trapani. Si chiuse, dunque, così con una lunga contesa giudiziaria e fallì il tentativo, di sfruttare lo Stagnone per le attività di pescicoltura.