In relazione alle recenti elezioni europee leggo diverse analisi sul campo del centro-sinistra che rischiano di depistare rispetto al segnale concreto che non possiamo non cogliere.
Partirei dalla preoccupazione che tanti di noi avevano alla vigilia del voto, consapevoli che questo poteva tradursi in una sorta di “referendum” su due modelli di Europa: uno a trazione sovranista, incentrato sul concetto di chiusura, contrario alla contaminazione culturale, che erige muri, basato sulla capacità che diversi esponenti politici europei hanno nel soffiare sulle paure della gente, rimandando ad un protezionismo fuori dal tempo ed un modello che vuole invece sì cambiare l’Europa ma ripartendo dai valori fondamentali, dal Manifesto di Ventotene scritto da Altiero Spinelli e diversi altri antifascisti confinati che sognavano un continente unito e solidale.
Quell’Europa dei popoli che con tutti i suoi limiti, essendo questa ancora oggi troppo poco unita dal punto di vista politico e troppo sbilanciata sul fronte economico-finanziario, comunque ha garantito settant’anni di pace. L’Europa che è riuscita a rialzarsi dalle macerie della seconda guerra mondiale e che nel 1989, con la caduta del muro di Berlino ha sancito la fine della guerra fredda, proiettandosi verso il mondo consapevole della necessità di garantire stabilità, superare le barriere nazionali per dare alle nuove generazioni la possibilità di formarsi, è salva. Questo è il primo dato che non possiamo trascurare. Le forze sovraniste che pure hanno riscosso un notevole (e preoccupante) successo in Italia con Salvini, in Francia con Marie Le Pen ed in Ungheria con Orbàn, di fatto oltre i propri fortini risulteranno irrilevanti nello scenario europeo. Approdano al Parlamento Europeo forze che credono nei valori di un continente unito, che hanno una chiara visione di sviluppo che mette al centro della propria azione politica quella che sarà la battaglia del secolo: la tutela dell’ambiente. Tranne che in Italia i “Verdi” sono la vera rivelazione di questa tornata elettorale.
Altra considerazione che sottopongo all’attenzione del lettore che ha voluto prestarmi attenzione la rivolgo al nostro territorio in particolare, con uno sguardo più ampio su quelle che saranno le sfide del prossimo futuro. Leggo di polemiche e di corse a rivendicare la paternità sul grandioso successo di Pietro Bartolo da parte di esponenti politici nei giorni scorsi. Questo vuol dire, a prescindere da come la si pensi, che non si è in grado di cogliere quello che è il vero messaggio che la nostra gente ha voluto mandarci e di fatto qualsivoglia strumentalizzazione oggi risulta offensiva nei confronti delle centinaia di migliaia di cittadini che ha voluto dire al Partito Democratico una cosa semplice: “se riuscite a superare i vostri egoismi di bottega, le eterne divisioni intestine e ripartite dai valori che contano noi ci siamo!”. Ed è da questa consapevolezza che dobbiamo ripartire. Non possiamo non riconoscere il tentativo di una nuova classe dirigente di invertire rotta. Se questo partito nel nostro territorio ieri proponeva candidati lontani anni luce da una visione progressista, buoni per comitati d’affari ed interessi particolari, oggi ci da la possibilità di sostenere figure che col proprio esempio, con le proprie storie si fanno argine alla narrazione dominante fondata sulla paura. Pietro Bartolo è uomo di frontiera, la sua storia personale parla per se e quando in Europa si parlerà di migrazioni, di diritti umani, dei lager libici dove ancora oggi sono detenuti e torturati migliaia di ragazzi, quando parleranno del Mediterraneo che è diventato un cimitero, quando sarà ristabilita la verità sulle Organizzazioni Non Governative e sul proprio operato, Pietro sarà lì a rappresentare la Sicilia più bella. A chi importa se la candidata sostenuta dal Sindaco di Marsala ha riscosso poche preferenze? Possiamo forse fare qualche valutazione in prospettiva, riguardo alla capacità di orientare il consenso da parte del primo cittadino in vista anche delle prossime elezioni amministrative ma a chi serve questo? E’ ormai provato che Alberto Di Girolamo ha abdicato da tempo ad essere “politico” oltre che amministratore. La Città di Marsala ha perso l’occasione di ritrovare la propria centralità nello scenario politico provinciale e regionale nella stagione che sta per concludersi. Quattro anni fa ci accompagnava alla vittoria un consenso bulgaro, il 70% dei marsalesi aveva dato fiducia al progetto che avevamo proposto alla comunità. Marsala è oggi più isolata, ostaggio dell’autoreferenzialità, di una certa supponenza ed incapacità di chi la amministra ad ascoltare e comprendere le critiche di chi ha a cuore le sorti del proprio territorio.
Ma anche questa è poca cosa rispetto agli scenari che si aprono e che devono farci preoccupare non poco. E non servirà a niente criminalizzare l’elettorato che a questo giro ha voluto premiare la scientifica strategia di Matteo Salvini, la distrazione delle masse per chi vive il proprio ruolo cosciente di dover alimentare nient’altro che il culto della propria personalità in una spasmodica campagna elettorale che non finisce mai, aiutato in questo da strategie sui social volte ad imbonire quanti non hanno gli strumenti culturali per formarsi in uno spirito critico che li porti a valutare con la propria testa. Ma dovremmo interrogarci sul perché questo modello ha attecchito! Chiederci cos’è oggi la periferia, quali sono le difficoltà di chi vive la precarietà come costante. Quali sono stati i sacrifici di chi ha dovuto contribuire più di altri al risanamento dei conti pubblici quanto nel 2011 l’Italia si avviava al dissesto finanziario. Chiediamoci se nell’Italia del 2019 la dispersione scolastica è ancora un problema oppure no. Se chi ha scontato una pena in carcere ha oggi la possibilità di riabilitarsi nella legalità. Chiediamoci se sono aumentate le diseguaglianze. E’ questo il brodo di coltura nel quale si alimenta il populismo, personalmente non voglio credere che la maggioranza della nostra gente da un giorno all’altro si sia svegliata razzista. I risultati elettorali pongono altresì il Movimento 5 Stelle davanti ad una cruda verità: a prescindere da quanto si diceva qualche anno fa non sono stati capaci di rappresentare un argine alla deriva conservatrice e sovranista ma trampolino, moltiplicatore di consenso. E’ per questo che tutti siamo chiamati alla responsabilità, anche e soprattutto la sinistra se, una volta imboccata la via di uscita dalle secche nelle quali il renzismo l’aveva costretta, ha a cuore questo Paese. I 5 Stelle stacchino la spina al peggior governo della storia della Repubblica. Il governo che ricorderemo per i continui attacchi ai diritti.
Ai diritti delle donne, dei lavoratori, dei giovani che pagheranno i debiti di manovre finanziarie di stampo elettorale, che ha voluto farci credere che l’invasione dei “popoli dal mare” fosse il vero problema del Paese tanto da trascorrere giornate intere a valutare l’opportunità di far sbarcare pochi disgraziati dalla nave Diciotti, che ha promosso il convegno di Verona nel quale è andata in scena la follia di quanti vorrebbero ripiombare il Paese nel medioevo. Il Governo che, in barba al concetto di progressività fiscale di matrice costituzionale vorrebbe negare del tutto il principio secondo il quale chi ha di più deve pagare di più, chi ha meno paghi meno e chi non ha niente non paghi niente. Il governo che ha diviso in due l’Italia in favore delle regioni più ricche, a breve il sud che ha tributato così tanti consensi al “capitano” si renderà conto di aver condannato la propria terra ad avere una sanità, una scuola, dei servizi di seconda categoria. L’Italia è davanti ad un bivio. Nessun piano industriale, nessuna visione di riconversione ambientale dell’economia, nessun investimento su scuola e ricerca, lo scontro sociale costantemente alimentato, una guerra fra poveri che non tende ad attenuarsi rischiano di essere i segnali di quella che, senza enfasi alcuna, rischierà di essere il preludio di una deriva autoritaria. Perché oggi Salvini può riuscire dove Berlusconi e Renzi in epoche diverse hanno fallito.
Se alle prossime elezioni Politiche sarà ancora forte la sua influenza sul Paese non aspetterà un minuto per promuovere una riforma costituzionale attraverso un Referendum che dia più poteri al Premier e meno al Parlamento (“i politici sono troppi! Il ping-pong fra Camera e Senato ingessa il Paese!” ricordate?) e questa volta bisognerà tenere conto della scadenza del mandato del Presidente Mattarella. Se la politica del “clicca e condividi” avrà la meglio il concetto di “fuga dalla libertà” di Erich Fromm prenderà corpo ed avremo finalmente tutti consapevolezza di quanto la Democrazia non sia un assunto immutabile ma conquista di un popolo che deve proteggere la delicata forma di governo di società che, nell’interesse di tutti, dobbiamo salvaguardare ed alimentare costantemente. Le forze democratiche e progressiste tutte devono riscoprire il valore dell’unità, superare gli steccati e ripartire dai valori che hanno reso grande la sinistra in passato, quando ancora si proponeva un modello sociale alternativo e si contestavano con proposte concrete i limiti di un modello capitalista che oggi più che mai ha mostrato il suo volto più aggressivo. Consapevoli che parte dell’elettorato del Movimento 5 Stelle idealmente proviene da lì dovremo a tutti i livelli provare a costruire un’intesa sui programmi e sulle azioni che porteranno le nostre comunità e l’Italia tutta fuori dalla marginalità, dall’irrilevanza. Potrà anche non piacere questa formula, risultare incoerente ma è l’unico argine possibile al disastro che è dietro l’angolo.
Daniele Nuccio